Ci stiamo avvicinando sempre di più alla Pasqua del Signore, ma così come hanno dovuto vivere gli Apostoli, anche noi dobbiamo attraversare assieme al Maestro il momento più difficile prima di giungere alla gloria, ovvero il momento del Calvario. Purtroppo, dei discepoli quasi nessuno è rimasto con Gesù fino alla fine, nonostante avessero vissuto molto tempo con lui e avessero visto tutto quello che aveva fatto. Di fatto, di fronte alla sofferenza non hanno saputo accompagnare nostro Signore perché ritenevano il tutto come la fine, come il fallimento più totale, una delusione nel vedere il Messia che tanto aspettavano finire così malamente e ignominiosamente.
Anche noi oggi abbiamo molte difficoltà nell’affrontare la sofferenza, difficilmente conciliabile con Dio. Infatti, la motivazione della maggior parte delle persone che si ritengono atee è che non può esistere Dio in quanto troppa sofferenza infligge il mondo intero. La domanda potrebbe però anche essere capovolta, come ci mostra il Catechismo per i giovani (YOUCAT): «Come fa il mondo a continuare ad esistere con tutto il male che c’è se Dio non esistesse?». E la cosa straordinaria è proprio che lo stesso Figlio di Dio ha sofferto, proprio per mostrarci la sua solidarietà nei nostri confronti, assumendo su di sé, gratuitamente e per il suo infinito amore nei confronti di ognuno di noi, tutte le sofferenze e la morte, lui che solo tra tutti avrebbe potuto evitarle visto che era Dio. Questo è dimostrato anche da coloro che lo insultavano dicendo che se fosse stato davvero Figlio di Dio, avrebbe potuto salvare se stesso (Mt 27,40). Ma Gesù ha voluto condividere fino in fondo ogni nostra sofferenza. Inoltre, Gesù ci ha dimostrato come anche dalla più grande sofferenza, dal più grande male e addirittura dalla morte stessa può sorgere la vita.
Anche noi quindi, di fronte alle sofferenze di ogni giorno, con tutte le difficoltà che ci possono essere, dobbiamo cercare di resistere e abbracciare la nostra croce così come Gesù ha abbracciato la sua, senza dimenticare che la nostra croce è la sua stessa croce. Nei momenti di sofferenza e di fatica, è Lui stesso infatti che in noi rivive la sua passione per portarci alla vita vera, quella eterna. Quando dunque riusciremo ad abbracciare le sofferenze di ogni giorno, senza fuggire, allora potremo anche godere pienamente della gioia. Per raggiungere la vita eterna, la cima del nostro cammino terreno, dovremo ascendere con fatica, ma la vetta sarà meravigliosa. Per arrivare in cima al Monte Everest è faticoso, ma sicuramente giungere al punto più alto della Terra non ha prezzo. E sicuramente sarà anche più bello e realizzante arrivarci a piedi, che non con un elicottero.
Gesù è arrivato fino alla morte per salvare ognuno di noi, per liberarci dalla schiavitù della morte, verso la quale il peccato ci avrebbe condotto. Nel suo immenso amore per ognuno di noi, Dio ha deciso di farsi uomo, condividendo la nostra umanità, fino ad arrivare a morire al posto nostro. È come se noi andassimo al ristorante con Gesù e cominciassimo a comandare un’infinità di cose. Poi alla fine ci accorgiamo di avere tantissimo da dover pagare, ma arriva Gesù, che con il suo sguardo pieno di amore, ci guarda e ci dice: «Tranquilli, offro io».
Quindi, per concludere, ciò che ci rende pienamente cristiani, con una marcia in più, è il valore che diamo alla croce, alla fatica. Gesù ci ha insegnato tanto su come dobbiamo affrontare la vita, con i suoi momenti gioiosi, in cui tutti vorremmo rimanere (vedi l’episodio di Pietro sul monte Tabor, durante la Trasfigurazione in Mc 9,5), che sono anche una sorta di “trasfigurazione” per mostrarci degli sprazzi della gloria paradisiaca che ci spetta, ma anche con i suoi momenti di Calvario. La differenza tra un cristiano e un non-cristiano non sta assolutamente nel fatto che il primo non abbia nessuna croce da portare, mentre il secondo sì. Anzi. Entrambi hanno una croce da portare nella vita, ma la vera differenza sta nel fatto che il non-cristiano vede la croce solo come la morte, mentre il cristiano la vede come la Risurrezione, che vince la morte.
Allora, in attesa della Pasqua, che in ebraico significa “passaggio”, perché di questo si tratta, ne approfitto per augurarvi delle buone feste di lode al nostro Salvatore Risorto, che trae dal sepolcro delle nostre sconfitte e delusioni anche noi, quest’anno, ancora una volta.
Dennis Pellegrini