Calendario romano: Gv 20,1-9.
Un passaggio per la libertà
di Dante Balbo
Quando ero bambino, mia madre, tornando dalla veglia di Pasqua, mi versava sulla fronte qualche goccia d'acqua e mi diceva che era l'acqua benedetta nella notte di risurrezione. Un gesto semplice, con un significato profondissimo che forse mia mamma solo intuiva come qualcosa di sacro e solenne, una benedizione per quel figlio che avrebbe dovuto farsi strada nella vita con difficoltà. Dentro c'era il ricordo del battesimo, il rinnovo dell'alleanza indissolvibile, garantita dalla fedeltà di Dio. Pasqua significa passaggio, quello degli israeliti attraverso il mar Rosso, quello dei deportati di ritorno da Babilonia, quello di Gesù attraverso la morte, quello di ogni cristiano attraverso il fonte battesimale. Si attraversa qualcosa per andare da qualche parte, avendo una meta, inseguendo un orizzonte più grande. Oggi le mete sono virtuali, gli orizzonti ristretti alla soddisfazione immediata, le speranze in una terra promessa o anche solo in un futuro meno peggiore sono soffocate dalla cronaca, dai rumori di guerra, dalla fragilità dell'economia. L'illusione cristiana allude al cielo, ma è inquinato e rarefatto e al di là c'è il vuoto spazio cosmico. Eppure noi insistiamo a celebrare la Pasqua, a parlare di risurrezione, come se fosse veramente rilevante. C'è qualcosa di nascosto che ci sfugge, in Gesù che ci precede fra i risorti. Possiamo rassegnarci oppure scrutare oltre la tristezza delle cose che passano e guardare a Cristo risorto come uno che ci indica la strada, ci mostra la meta, ci insegna il modo di raggiungerla. Guardare a Lui significa lasciarci scrutare, scendere insieme a trovare la profondità del nostro essere, del nostro desiderio, del bisogno d'infinito che ci abita. Gesù ha attraversato la morte per mostrarci il nostro destino di risorti, non l'ultimo giorno, ma qui, adesso. Nel Battesimo siamo passati anche noi oltre la morte e possiamo vincere con lui, liberi, capaci di guardare ogni persona come Gesù ci guarda, amare come Lui ci ama. Sia questa una Pasqua di libertà per tutti noi! *Il Respiro spirituale di Caritas Ticino
Calendario ambrosiano: Gv 20,11-18
Maria incontro a Gesù: la certezza oltre la morte
di don Giuseppe Grampa
La pagina evangelica racchiude due dettagli che sono due piccoli enigmi. Il primo. Accanto a Maria nel giardino c’è un uomo al quale la donna si rivolge credendo sia il custode del giardino. E a lui chiede del corpo di Gesù, pronta ad andare a ricuperarlo. Penso a quanti non si danno pace perché non hanno potuto rivedere, accarezzare i corpi dei loro cari, onorarli in un cimitero. Il mio ministero mi porta sovente all’Obitorio per una ultima preghiera e ogni volta sono coinvolto nello strazio dei parenti che salutano un volto che non vedranno più. Maria non riconosce Gesù. Gesù aveva addosso gli abiti da lavoro del giardiniere, aveva, come in certe raffigurazioni, sulla spalla una vanga? Eppure Maria doveva avere impresso nel cuore il volto di Gesù. Ma forse sta ancora cercando un cadavere, i suoi occhi sono rivolti al passato mentre Gesù, con il suo volto, appartiene a cieli nuovi e terra nuova. Non so rispondere. Ma la voce di Gesù dissipa ogni dubbio. È Lui. Non sono tanto gli occhi quanto l’ascolto di Lui, della sua parola a svelarci la presenza. E il secondo enigma: perché Gesù deve dire: «Non mi trattenere»? Purtroppo la traduzione latina, per secoli ha messo sulle labbra di Gesù una diversa espressione: «Non mi toccare». E infatti le raffigurazioni pittoriche di questo incontro, penso a Giotto o al Beato Angelico, mostrano Maria che si protende verso il Risorto e Gesù che si ritrae con un gesto che mette distanza tra Lui e la donna. Forse Gesù ha fretta? Forse il suo corpo glorioso non deve esser neppure sfiorato? Dicendo: «Non mi trattenere» non è azzardato immaginare che Maria si sia gettata verso di lui ad abbracciarne le ginocchia, gesto allora consueto di grande rispetto e di intenso amore. Così mi piace pensare questo incontro nell’incerto chiarore dell’alba. E questo abbraccio mi sembra per ognuno di noi e per i nostri corpi mortali già una sicura promessa di risurrezione. Niente, neppure la morte ci potrà separare dal Signore risorto.