Questa è la terza puntata dei commenti ai vangeli domenicali del tempo pasquale (rito cattolico romano) proposti da Roberto Geroldi, licenziato in teologia sistematica e parroco della Con-cattedrale di San Tommaso (Ortona/Chieti). Buona lettura!
“Le parole… La PAROLA” - 8 MAGGIO 2022 - IV Domenica di Pasqua
Atti 13,14.43-52 - Salmo 99 - Apocalisse 7,9.14b-17 - Giovanni 10,27-30
Conosciuti, cioè AMATI
Giovanni 10,27-30[1]
27Le pecore, le mie, la mia voce ascoltano e io le conosco ed (esse) mi seguono. 28E io do loro una vita eterna e non andranno mai perdute e non le rapirà nessuno dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo uno».
Lasciarci guidare nella vita, a volta anche soltanto da un pensiero o da un’ispirazione, da un ideale… ma bisogna crederci, e crederci fino in fondo! È questione di fiducia, sì.
Seguendo il Nazareno quel gruppo così eterogeneo attorno a quattro pescatori, un intellettuale e un biblista (cf Giovanni 1,35-51) - così diversi che non di più si può - sono diventati una comunità. Chi li guidava allora era un Rabbi, adesso è il suo Soffio vitale che manco loro sanno da dove viene e dove va ma che li fa sentire vivi come non mai, rinati con Lui risorto (cf Gv 3).
Le sue parole ritornano alla memoria e lo Spirito li conduce alla Verità piena; (cf 14,25-26; 16,12-15) chi li guida li nutre di sé e li forma persone nuove, comunità inedita; fa loro assaporare un modo di vivere che attraverso la morte giunge alla Vita; li con-duce camminando con loro, non perdendo quella relazione essenziale di ascolto-conoscenza che costituisce ogni vero apprendimento.
Possiamo avere bravi istruttori, ma gli educatori si conoscono anche quando non si fanno notare, soprattutto quando non compaiono e la loro presenza non si impone, ma la si sente.
Seguire un maestro dipende dal non uscire dalla relazione con lui.
Ascoltare per conoscersi ci consente di seguire per entrare nella Vita.
Se perdiamo la relazione noi rischiamo di perdere la “connessione” con l’altro e con noi stessi; ci ritroviamo smarriti perché soli senza più una direzione: inseguendo noi stessi perdiamo il senso della nostra stessa esistenza, la possibilità di viverla in pienezza!
Gesù per tenere viva la relazione con noi, per rimanere in noi e noi il Lui non perde la sua relazione con il Padre, sua origine vitale, con il suo amore originario che continuamente lo genera per noi perché noi rimaniamo vivi in loro (cf 10,29-30; 15,5-11).
Contestualizzazione liturgica
Nelle domeniche di Pasqua, dalla III alla VI, attraverso i brani evangelici tratti dal racconto di Giovanni, anche noi siamo invitati a fare l’esperienza del Risorto che ridona a Pietro ed ai primi discepoli la sorprendente scoperta di essere nuovamente chiamati a seguirlo con rinnovato amore (cf Gv 21 - III domenica).
Dopo la risurrezione la sua sequela cambia infatti di modalità: è Lui che ci raggiunge dove noi siamo riuniti insieme “nel suo Nome” (cf Matteo 18,20) e ora, attraverso Lui porta e pastore (Gv 10 - IV domenica), “Via di Verità” (Gv 14 – V/VI domeniche A), siamo condotti nella pienezza della Vita. Dimorare in Lui è il nostro nuovo rapporto personale con il Signore (Gv 15 – V/VI domeniche B), che si esprime nell’amore reciproco tra fratelli e sorelle (Gv 13 – V domenica C) e attraverso la forza dello Spirito donato dal Risorto stesso (Gv 14 - VI domenica C). Da qui nasce un’esperienza di piena unità con il Padre, attraverso Gesù, e tra tutti gli esseri umani (Gv 17 - VII domenica).
Così ogni ciclo liturgico propone un suo itinerario nella celebrazione unica e continua “della risurrezione di Cristo, e in lui della nuova vita donata all’umanità, sottolineando le sfaccettature e le manifestazioni dell’unico volto glorioso del Risorto, l’Uomo Nuovo, che dopo aver sconfitto definitivamente la morte abbandonandosi all’amore del Padre, comunica ad ogni vivente la gioiosa notizia della vittoria. La comunica ai discepoli sorpresi e impauriti come compimento delle promesse dell’AT (Comunità di Viboldone).
In questo “anno c” viene proclamata la presenza del Risorto che riempie con il suo Amore ogni vuoto umano (III domenica: Gv 21,1-19): Egli è fonte della Vita incorruttibile (IV domenica: Gv 10,27-30)che incominciamo a sperimentare nell’amore reciproco tra noi in Lui (V domenica: Gv 13,31…35). È una nuova relazione nello Spirito che ci permettere di conoscere pienamente Lui e il Padre (VI domenica: Gv 14,23-29).
Giovanni 10,27-30 è un frammento del discorso sul pastore bello e vero (10,11-31) che ascoltiamo questa domenica.
[Nell’anno A leggiamo 10,1-10 dove Gesù di autodefinisce porta del gregge; nel B i vv. 11-18 in cui si definisce pastore vero; nel C la similitudine è ripresa nello sviluppo successivo dell’insegnamento di Gesù nel Tempio durante la Festa della Dedicazione, sfidato dai Giudei fino alla lapidazione (vv. 27-30 con l’omissione del v. 31).
Tenendo conto anche del lezionario feriale “pasquale”, la scansione liturgica dell’intero capitolonel “tempo pasquale” risulta però “mutilata”: sono infatti omessi completamente i vv. 19-21; i vv. 31 e 22-26 sono omessi da quella festiva del ciclo C che sarebbe stato invece utile riprendere per una migliore comprensione della similitudine che segue nei vv. 27-30. Inoltre sarebbe stato rispettoso includere il v. 31 che conclude parzialmente il capitolo 10 secondo l’intenzione evangelica e non quella “bucolica” di un’interpretazione troppo “romantica” nell’ambito cattolico.]
L’intera similitudine non è altro che la trasposizione allegorica del drammatico dialogo tra Gesù e i farisei in seguito alla guarigione del nato cieco (cf 9,1-41) e dischiude una luce sul mistero paradossale dell’Uomo-Dio. Siamo nel pieno della luce, nella Festa delle Luci e le tenebre, che accecano le autorità religiose e politiche, cercano di soffocarla. Le tenebre continuano ad accecare chi non si fida di Lui e invece di ricevere la vita in dono da Lui cercano invano di togliergliela (cf Gv 10,31-39; 8,58; 9,39-41).
È lo stesso “dramma” che accompagna la predicazione di Paolo e Barnaba, anch’essi posti come luce sono rifiutati, il che dà a loro l’opportunità di rivolgersi ai pagani destinati alla vita eterna (Atti 13,14 ss. – I lettura). Come il Figlio che “rifiutato” non smette di donarci la Vita!
Egli è l’Agnello-Pastore ha condotto l’uomo nato cieco dal buio dell’ignoranza alla luce della conoscenza dell’amore del Padre per lui e ancora continua a voler condurre l’umanità attraversata dalla grande tribolazione con il dono di se stesso, della sua vita “deposta”, consegnata.
Il senso della sua esistenza tra noi è proprio quella di far diventare il genere umano una comunità riconciliata nel suo sangue e lo attua proprio condividendo il suo faticoso cammino di umanizzazione; con la sua radicale debolezza, la morte per amore, non opera dal di fuori ma che dall’interno genera la vita piena (Apocalisse 7,9 ss. – II lettura).
“Riconoscete che Dio è JHWH / Egli ci ha fatti: noi siamo suoi, / suo popolo e gregge del suo pascolo” (Salmo 99).
[1] Traduzione del testo: absi, GIOVANNI, Edizioni Terra Santa, Milano 2021, pp. 156-157.