di Katia Guerra
Sorpresa e subito dopo tristezza: sono questi i sentimenti che ha provato Martino Dotta, frate cappuccino e direttore della Fondazione Francesco, quando ha saputo da un confratello della scomparsa di Papa Francesco. «È per me fin da subito stata chiara la consapevolezza che ci ha lasciato un grande lascito da coltivare, soprattutto per quanto riguarda la sua sensibilità e la sua attenzione per gli ultimi», ci dice fra Martino. «La cura della casa comune, quindi l’ecologia globale, sono temi che in realtà in questi anni sono stati per me ispiratori nel mio piccolo lavoro, in confronto della sua grande missione».
Fra Martino, con la Fondazione Francesco e i suoi progetti (in particolare Casa Martini a Locarno e la Masseria della solidarietà a Lugano) ha portato avanti quell’economia della solidarietà invocata nell’enciclica «Laudato sì» di papa Francesco. Sono centri sociali nei quali si risponde a forme diverse di prime necessità.
Papa Francesco ha riportato i poveri e la povertà al centro della Chiesa e non solo. «Non si è mai stancato di mettere il dito nella piaga delle contraddizioni della nostra società contemporanea, che negli ultimi decenni ha conosciuto da una parte un grande sviluppo tecnico, tecnologico, scientifico, economico e nel medesimo tempo si è trovata incapace di soddisfare anche i bisogni più elementari di tutti gli abitanti del pianeta. Al potenziamento delle capacità tecniche e finanziarie non ha corrisposto un aumento del benessere collettivo. Questa è una contraddizione che volenti o nolenti siamo chiamati tutti ad affrontare e a cercare anche di superare coltivando una maggiore attenzione per gli ultimi, partendo in realtà proprio da loro stessi, senza escludere nessuno e senza dimenticare anche chi magari vive si in condizioni di benessere e di agiatezza, ma è confrontato ad altre realtà di bisogno quali la sofferenza, la solitudine, la malattia».
Le visite nelle carceri
Frequenti le visite nelle carceri dove il Giovedì santo andava a lavare i piedi alle carcerate e ai carcerati. «Si è inchinato, si è messo letteralmente al servizio, sull’esempio di Gesù nel cenacolo, durante l’ultima cena, secondo quanto raccontato da Giovanni, e ha mostrato, dal mio punto di vista, la grande coerenza tra i suoi discorsi e le scelte di vita molto concrete. Non solo ha raccomandato a tutte le donne e gli uomini di buona volontà di compiere dei gesti significativi, ma lui stesso li ha compiuti», evidenzia fra Martino. Anche lo scorso giovedì 17 aprile avrebbe voluto tornare a lavare i piedi dei carcerati al Regina Coeli di Roma, ma il suo stato di salute glielo aveva impedito. Ha però voluto, in forma privata, intrattenersi con una settantina di loro. «Ogni volta che io entro in un posto come questo mi domando: perché loro e non io?», ha detto ai giornalisti all’uscita della struttura.