“Non so quando il mio cuore potrà smettere di piangere. Di certo anch’io, come questi giovani, non dimenticherò don Matteo”. Sono parole del vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, che ha presieduto a Cannobio il funerale di don Matteo Balzano, il giovane prete diocesano trovato morto lo scorso sabato 5 luglio. Don Matteo viene ricordato da tutti come una persona serena e in buona salute. Il resto è un mistero.
Nell’omelia, il presule ha posto tre domande attorno al senso della tragedia della morte del sacerdote. “Cosa dice a tutti noi, la morte di don Matteo?”, ha chiesto mons. Brambilla. “Anzitutto, cosa dice a me vescovo, a noi sacerdoti e alle persone che vivono al nostro fianco nella comunità?”, ha proseguito: “Vivere la Pasqua del Signore è il senso profondo del ministero del prete”, ha sottolineato il vescovo: “Pasqua significa ‘passaggio’. Nei momenti più bui e difficili che sperimentiamo, ricordiamoci che questo ‘passaggio’ lo viviamo sempre accanto al Signore”. “Per farlo – ha esortato – dobbiamo imparare a non nasconderci di fronte alle nostre paure e fatiche. Dobbiamo imparare ad ascoltarci. E a trovare, nei nostri rapporti fraterni, linguaggi e parole di accoglienza e comunione”.
“La seconda domanda è cosa dice ai giovani questa morte?”, ha continuato mons. Brambilla, raccontando che “domenica scorsa ho incontrato il gruppo di ragazze e ragazzi dell’oratorio di Cannobio, affranti dal dolore. Anche le parole che mi hanno rivolto echeggiavano in qualche modo le parole di Gesù in croce: ‘Dio mio, perché mi hai abbandonato?’. Li incontrerò ancora per parlare con loro. Ma intanto ho chiesto di scrivere quello che stanno vivendo, di raccontare il loro rapporto con don Matteo. E ho posto a loro la domanda ‘cosa dice a voi questo dramma?’”.
Per i giovani ha risposto una ragazza con un testo elaborato insieme con i suoi coetanei, che riportiamo di seguito.
Poi mons. Brambilla ha posto la terza domanda, rivolta a tutte le famiglie e alla città. “Cosa ci dice questa morte che ha colpito così nel profondo i nostri cuori?”. “Dice dell’importanza e dell’urgenza di rimettere al centro la cura dell’anima”, ha affermato il vescovo: “Perché nelle nostre vite siamo troppo spesso distratti da altre priorità, da cose superficiali che ci distraggono da quelle importanti. L’affetto e il dolore per Matteo, che così in tanti hanno manifestato in questi giorni e che oggi ci unisce, potrà forse indicarci la strada per rispondere a queste domande”.
Alessia, una giovane ragazza di Cannobio, ha poi potuto leggere un testo condiviso con tutti i giovani dell’oratorio.
«Caro don Matteo, sei stato più del nostro “don”, più del nostro confessore e più della nostra guida. Sei stato un nostro amico sincero. Non dimenticheremo mai il tempo speso insieme, durante i gruppi in oratorio. Affrontando temi seri e importanti per le nostre vite. Ma anche quelli più leggeri. Il nostro rapporto con te non è finito. Si è solo trasformato. Perché sappiamo che tu sarai sempre con noi».
L’omelia del vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla
Oggi vorrei proporre a tutti noi tre domande a cui provare, se non a dire, quanto meno a balbettare una risposta a proposito della tragedia che stiamo vivendo. Cosa dice a tutti noi, la morte di don Matteo?
Anzitutto, cosa dice a me vescovo, a noi sacerdoti e alle persone che vivono al nostro fianco nella comunità?
Cerchiamo una risposta nelle Letture che il rito ambrosiano propone, facendo rivivere la Passione del Signore. Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato Gesù dice ai discepoli di seguire un “uomo con la brocca”, per trovare la stanza dove consumeranno l’ultima cena. Il luogo dove vivranno la Pasqua.
Ecco, vivere la Pasqua del Signore è il senso profondo del ministero del prete. Pasqua significa “passaggio”. Nei momenti più bui e difficili che sperimentiamo, ricordiamoci che questo “passaggio” lo viviamo sempre accanto al Signore. Per farlo dobbiamo imparare a non nasconderci di fronte alle nostre paure e fatiche. Dobbiamo imparare ad ascoltarci. E a trovare, nei nostri rapporti fraterni, linguaggi e parole di accoglienza e comunione.
La seconda domanda è cosa dice ai giovani questa morte?
Domenica scorsa ho incontrato il gruppo di ragazze e ragazzi dell’oratorio di Cannobio, affranti dal dolore. Anche le parole che mi hanno rivolto echeggiavano in qualche modo le parole di Gesù in croce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Li incontrerò ancora per parlare con loro. Ma intanto ho chiesto di scrivere quello che stanno vivendo, di raccontare il loro rapporto con don Matteo. E ho posto a loro la domanda ‘cosa dice a voi questo dramma?’».
«La terza domanda è per tutte le nostre famiglie e per questa città. ‘Cosa ci dice questa morte che ha colpito così nel profondo i nostri cuori?’
Dice dell’importanza e dell’urgenza di rimettere al centro la cura dell’anima. Perché nelle nostre vite siamo troppo spesso distratti da altre priorità, da cose superficiali che ci distraggono da quelle importanti. L’affetto e il dolore per don Matteo, che così in tanti hanno manifestato in questi giorni e che oggi ci unisce, potrà forse indicarci la strada per rispondere a queste domande».
A conclusione dell’omelia, pronunciata a braccio, il vescovo ha voluto poi leggere «l’unica cosa che mi sono sentito di scrivere in questi giorni. Proprio dopo aver incontrato i ragazzi di Cannobio:
’Dolce fratello
giovani orfani affranti
pianto infinito’.
Non so quando il mio cuore potrà smettere di piangere. Di certo anch’io, come questi giovani, non dimenticherò don Matteo».
fonte: diocesinovara/red