Il presidente americano Donald Trump non ha mai pronunciato una sola parola pubblica di biasimo per le stragi di civili innocenti provocate dai bombardamenti israeliani ogni giorno, da 21 mesi, nella Striscia di Gaza. Ventimila bambini uccisi e mai un sussulto pubblico di indignazione e condanna. Anzi, Netanyahu è stato sempre accolto come un grande amico alla Casa Bianca e ha ricambiato le cortesie candidando cinicamente Trump al Nobel per la pace. L’unico piano di pace a cui Trump ha fatto riferimento finora prevede la trasformazione della Striscia in un resort di lusso con la rimozione delle macerie degli edifici distrutti (sono già oltre il 70 per cento del totale) e il trasferimento di due milioni di palestinesi in altri paesi (le ultimi indiscrezioni parlano di nazioni come la Libia, l’Etiopia e l’Indonesia). Pazzesco.
Il 17 luglio Trump ha rotto il suo silenzio di fronte alla cannonata di un carro armato israeliano che ha colpito il tetto della chiesa della Sacra Famiglia di Gaza city, provocando la morte di tre parrocchiani e il ferimento di numerosi altri, tra cui in modo lieve anche il parroco Gabriel Romanelli. A questa comunità tutti noi cattolici siamo particolarmente affezionati. Il nome della parrocchia ricorda il passaggio della sacra famiglia proprio a Gaza, nella sua fuga verso l’Egitto per scampare alla paranoia sanguinaria di Erode. Sappiamo delle telefonate quotidiane di papa Francesco che, già malato, confidava il desiderio di visitare questa piccola comunità arabo-cristiana, per confortare i fedeli e lanciare un messaggio potente a tutto il mondo contro la disumanità di questa guerra. Non sappiamo cosa sia scattato invece nella mente di Trump, ma evidentemente anche a lui l’attacco a un luogo sacro cristiano è sembrato troppo. Ha alzato la cornetta e ha intimato al premier israeliano di scusarsi direttamente con il Papa. Netanyahu ha ubbidito. Ha chiamato Leone XIV mostrandosi rammaricato per “l’errore di tiro”, ha autorizzato la visita del cardinale Pizzaballa alla comunità di Gaza city (con un generoso carico di aiuti umanitari), ha permesso che uno dei feriti più gravi fosse curato in un ospedale israeliano. Bene, non si poteva non esserne contenti. Il giorno stesso, però, e nei giorni seguenti i raid israeliani sono continuati allo stesso modo con decine di palestinesi uccisi mentre erano in fila per il cibo. (…)