di Laura Quadri
«Dio. La scienza, le prove. L’alba di una rivoluzione» è il titolo del libro di Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies, pubblicato di recente, testo che fa discutere scienziati e teologi un po’ ovunque. Se ne è parlato in un dibattito tra esperti di entrambi i campi lunedì al Centro culturale «Montebrè» a Lugano. Moderati da Michele Zorzi sono intervenuti il ticinese don Lorenzo De Vittori, addottoratosi prima del sacerdozio in fisica teorica al Politecnico di Zurigo e Massimiliano Berti, ordinario di matematica alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste. Percorsi di studio vicini, ma sguardi, sul problema del rapporto tra scienza e fede, non del tutto convergenti.
Spetta, a sorpresa, proprio al prof. Berti, coniugare scienza e fede nel suo primo intervento: «Sono tante le grandi domande che l’uomo si pone: chi siamo? Qual è la nostra origine? Uno stupore verso la grandiosità delle cose che troviamo espressa anche dai Salmi. Ma non solo: sono tanti gli scienziati che hanno condiviso questa meraviglia», esordisce. E racconta: «Nel Novecento, in un famoso articolo intitolato “L’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali”, la parola più usata dall’autore, lo scienziato Eugene Wigner, è “miracolo”. È miracoloso, misterioso come la matematica abbia un’utilità grandissima nella descrizione della natura. Gli farà eco Albert Einstein: la cosa più incomprensibile del mondo è proprio che esso sia comprensibile. E ancora Erwin Schrödinger, nel suo volume “Che cos’è la vita”, affermerà che è un miracolo che dinanzi alla complessità del mondo sia possibile scoprire tanta regolarità negli eventi. Benedetto XVI, a sua volta, il 6 aprile del 2006, rivolgendosi ai giovani della Diocesi di Roma, affermerà che la matematica è linguaggio di Dio, del Creatore».
La prospettiva non è in tutto e per tutto quella di don De Vittori, che ritiene, anzitutto, di dover storicizzare il legame di fede e scienza: «Una prima tappa è stata quella del conflitto: durata molto tempo, è arrivata all’estremo con il positivismo ottocentesco. Successivamente, sempre nel corso dell’Ottocento, si è passati a credere che nella scienza in realtà c’è spazio anche per la fede, fino a ritenere, ad esempio, che le misurazioni scientifiche mi obblighino a credere in Dio; è questa la visione – ma sempre ottocentesca – anche del volume di Bolloré e Bonnassies. Ma è davvero possibile, come credono gli Autori, raggiungere Dio a partire dal telescopio?». Don De Vittori si interroga: «Sottolineerei i pericoli dell’assunto, ovvero che a seconda delle prove che utilizzerò troverò il dio, con la d minuscola, corrispondente. Così troverò il dio musicista di Pitagora, il dio motore immobile di Aristotele, il dio orologiaio di Spinoza. Con un telescopio al massimo osserverò un dio all’interno dello spazio e del tempo, figlio della sua stessa creazione». Di fondo, secondo il sacerdote, un aspetto fondamentale: «Conosciamo Dio perché per un atto libero di amore ci si è rivelato; non lo abbiamo conquistato, ma lo possiamo accogliere, ricevere. Quello che ci potrà dare l’osservazione del creato è dunque solo una serie di indizi che ci fanno pensare alla ragionevolezza dell’esistenza di Dio, senza darci certezze».
Siamo quindi destinati a lasciare i due ambiti, scienza e fede, slegati tra loro? «Penso che si debba approdare a un terzo atteggiamento, più appassionante: quello dell’arricchimento mutuo. La bellezza che osservo nella natura come cambia il mio modo di pregare? Di celebrare la liturgia? Thomas Zurbuchen, già direttore scientifico della Nasa e ora al Politecnico di Zurigo, ha affermato che tutte le sue ricerche hanno avuto un solo grande effetto: “rendere il cielo molto più bello”», ha concluso De Vittori.
È visitabile fino al 31 dicembre, presso gli spazi espositivi dell'associazione Svizzera Sud Sudan, a Castagnola, in Piazza San Giorgio, la mostra dell'artista milanese. Eventuali donazioni dei visitatori andranno a favore dell'Associazione.
Il commento al Vangelo secondo la liturgia romana, in questa questa domenica di Avvento, è a cura di Dante Balbo; quello per la liturgia ambrosiana di don Giuseppe Grampa.
È edito da Einaudi, il volume "Fraternità", di padre Enzo Bianchi, già priore della comunità di Bose. Se ne parla su RSI LA1 alle 18.35.