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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (24 aprile 2025)
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  • Il professore José Ángel Lombo

    L'essere umano, bellezza e mistero. A colloquio con l'eticista e filosofo Lombo

    di Laura Quadri

    È ospite in questi giorni, al Centro culturale «Montebrè» a Lugano, il prof. José Ángel Lombo, eticista e filosofo alla Pontificia università della Santa Croce, per un ciclo di incontri su «mistero e bellezza della persona umana», e in particolare, nell’incontro previsto lunedì 17 febbraio alle 20.30, per dibattere sul tema importante dell’unione di corpo e anima, mondo materiale e mondo spirituale.

    Prof. Lombo, la persona umana, sin dal titolo del ciclo, è “mistero” ma anche “bellezza”. Ce lo spiega?

    La parola mistero può essere intesa in molti modi. Con un significato piuttosto comune, si considera mistero ciò che non è conosciuto o addirittura ciò che non può esserlo affatto. In questo senso è piuttosto qualcosa di negativo, qualcosa che è sempre nascosto. C’è però un'accezione più positiva: il mistero è ciò che in realtà non conosciamo mai completamente perché è troppo grande, troppo bello; ciò che può essere sempre conosciuto meglio, dove in qualche modo troviamo sempre più grandezza o più bellezza. Parliamo così, per esempio, del mistero dell'amore, del mistero di Dio, del mistero delle grandi cose. È in questo senso che parliamo qui del mistero della persona umana. Perciò abbiamo abbinato al mistero la bellezza, per esprimere in che senso la persona umana eccede sempre la nostra comprensione, alimentando al contempo il desiderio di conoscerla meglio.

    Perché, oggi, è urgente tornare a parlare di una sintesi tra anima e corpo?

    È urgente, perché, come abbiamo spiegato nel corso, viviamo oggi divisi tra una visione razionalista e un'altra visione naturalista della persona umana. La prima dà priorità quasi esclusiva alla coscienza o all’emotività soggettiva. Invece, la visione naturalista considera la persona soltanto nella sua dimensione materiale oggettiva, come un qualsiasi elemento della natura. In queste visioni, la persona rimane fondamentalmente divisa e non si spiega la nostra profonda esperienza di unità e unicità. D’altra parte, anche il rapporto con le altre persone e con la natura rimane senza una spiegazione adeguata. Pertanto, quelle visioni riducono la persona e non riescono a realizzare la sua grandezza e allo stesso tempo la sua relazione con gli altri esseri.

    Dove sta l’attualità di questo discorso e quale può essere il contributo dell’etica e della teologia al riguardo?

    L’attualità di questo discorso sta nel non trascurare i dati offerti dalle scienze, ma nel cercare di integrarli in una comprensione globale della persona, considerata sia individualmente che nelle sue relazioni, sia nei suoi aspetti soggettivi che nelle sue dimensioni più materiali. In questo modo, si cerca di dare un senso ai dati che provengono dalla conoscenza scientifica e di collegarli con la totalità dell'esperienza personale. A dare significato a questi dati sono i valori morali, che qualificano la persona in modo integrale. A partire da questa comprensione, la teologia ci permette di collegare questi valori con l'intera realtà, riconoscendo il senso della persona umana a partire dalla sua origine più radicale e dal suo fine ultimo.

    Come attuare, di fatto, questa armonizzazione?

    La domanda presuppone che in qualche modo questo rapporto tra gli aspetti spirituali e quelli corporei della persona non sia perfettamente unitario, ma richieda un'armonia che deve essere attivamente perseguita. Il modo per cercare questa armonizzazione è innanzitutto unificare le dimensioni della nostra esperienza. Cercare di vivere la propria vita in modo unitario contribuisce a scoprire la propria identità e a cercare di realizzarla in modo pieno. È qui che scopriamo la centralità della dimensione morale delle nostre azioni, perché è questa dimensione che ci porta a orientare tutte le nostre esperienze per vivere una vita significativa. Vivere una vita moralmente buona è quindi il modo per tendere efficacemente all'unità della persona.

    Lei parlerà nel secondo incontro anche di vulnerabilità fisica. Cosa vorrebbe trasmettere al riguardo su questo tema, come messaggio centrale?

    Forse la prima osservazione che possiamo fare è che la vulnerabilità umana non è solo fisica, ma si manifesta anche ad altri livelli, soprattutto psicologico, ma anche morale, spirituale, ecc. Certamente, la vulnerabilità fisica è la più evidente anche perché è in contrasto con la nostra capacità di dominare le circostanze e i limiti in modo intelligente. Quello che vorrei far capire è che la vulnerabilità fisica non è solo e non è soprattutto una debolezza che dobbiamo compensare o cercare di eliminare. In modo profondo, la vulnerabilità non è uno stato più o meno circostanziale, ma la condizione intrinseca della nostra natura. Questo è più chiaro se la riconosciamo nelle sue principali manifestazioni, che sono l'invecchiamento, la malattia e la morte. La conseguenza non è la rassegnazione di fronte all'inevitabile, ma lo sviluppo delle nostre capacità all'interno delle relazioni umane più fondamentali, che sono il dare e il ricevere. Da qui l'importanza della cura, della generosità e dell'accettazione reciproca.

    Cosa ci rende persone, e qual è il valore delle nostre relazioni?

    In modo piuttosto sintetico, possiamo dire che ciò che ci rende persone è la nostra apertura universale alla verità, al bene e alla bellezza. Questo si concretizza nella capacità di una conoscenza sempre più ampia e profonda, ma soprattutto nella capacità di amare, che è la capacità di dare e accettare il dono. Spesso pensiamo che ciò che ci distingue come persone sia un elemento in contrasto con il nostro rapporto con gli altri esseri, in particolare con gli esseri irrazionali, ma anche con gli altri esseri della nostra specie. Questo modo negativo di ragionare nasconde il fatto che ciò che più ci caratterizza come persone non è qualcosa che ci separa, ma piuttosto qualcosa che ci unisce agli altri, cioè qualcosa che ha a che fare con la capacità di raggiungere un bene insieme agli altri. Pertanto, la persona umana si realizza e arriva alla sua pienezza nel bene comune, cioè nel bene che realizziamo in unione con gli altri. In questo senso, le nostre relazioni hanno il valore di essere il campo in cui si attua il bene comune. Attraverso queste relazioni, il nostro bene diventa in qualche modo universale e costituiamo un'unità superiore all'individuo che ciascuno di noi è.

    Per le iscrizioni agli incontri: ccmontebre@gmail.com.

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