«Fraternità»: che valore diamo a questa parola alle soglie del 2025? Possiamo ancora definirci una umanità di fratelli? Come possiamo ritrovare un senso a questa parola? «La fraternità è ciò che manca di più al nostro vivere insieme, ed è proprio la sua assenza che causa sofferenza. Senza la fraternità, l’uguaglianza e la libertà resteranno sempre valori minacciati, deboli e facilmente contraddetti», sono parole firmate da papa Francesco nella prefazione del libro di padre Enzo Bianchi. Da qualche mese, il monaco piemontese è in libreria con un nuovo volume dal titolo «Fraternità» (edizioni Einaudi), nel quale cerca di dare risposta a questi interrogativi, riempiendo nuovamente di senso il termine fraternità (insieme a quello di sororità – l’essere sorelle, ndr). Partendo da uno dei tre valori fondamentali coniati dalla celebre triade della rivoluzione francese – libertà, uguaglianza, fraternità – il monaco riconosce che il terzo elemento è «forse il più trascurato. Eppure proprio la fraternità è necessaria per dare fondamento all’affermazione dei primi due», afferma padre Bianchi nell’introduzione al volume.
Intervistato dai colleghi di «Strada Regina», padre Enzo Bianchi ricorda quanto il valore della fraternità abbia accompagnato l’uomo lungo il corso della storia: un valore difficile da conquistare, spesso negato, ma sul quale non può prescindere la condizione umana. «Nessuno nasce fratello o sorella, ma lo può diventare diventando anche un uomo o una donna che sta all’interno di una comunità sociale e questo è l’arte del vivere insieme, non è qualcosa di scontato». «Per generare, vivere e far crescere la fraternità – continua padre Enzo Bianchi – occorre andare al fondamento della vita di ogni essere umano che ci sta davanti. Quando lo guardiamo in faccia nasce in noi la responsabilità per lui e questa responsabilità è la fraternità».
Con fraternità non si intende quindi solamente il legame tra due essere umani dello stesso sangue o dello stesso popolo e, quando i confini si allargano, aspirare a tale valore diventa inevitabilmente più difficile, come spesso la storia ci ha insegnato: «È facile che le gelosie, la concorrenza, l’invidia, se non sono parlate, se non diventano dialogo e confronto, diventino violenza covata che prima o poi esplode», come è successo recentemente tra Russia ed Ucraina e in Palestina tra arabi palestinesi ed ebrei. Quest’ultimo conflitto, in particolare, ci insegna che «la convivenza è difficile, ci vogliono dei patti e rispetto reciproco».
La storia attuale sembrerebbe dunque dirci che non c’è più spazio per una fraternità profonda: «Ci illudiamo nell’epoca di internet di sentire tutti vicini, anche se è una vicinanza “virtuale”, non reale. Comunichiamo con tutti, ma non siamo responsabili di nessuno». Dobbiamo tornare a guardare la fraternità di Gesù che ci insegna che «la vita è la vocazione unica dell’uomo, perché la fraternità ha una maniera di essere esplicitata con l’accoglienza, una porta aperta per tutti senza distinzione. E nella società di oggi questo può essere un grande segno di speranza».
L’intervista a padre Enzo Bianchi oggi a Strada Regina, ore 18.35, RSI La1. (Red)
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