Mentre giungono, in queste ore e in occasione del Triduo pasquale, voci diverse dai fronti di guerra più caldi, al Sir anche mons. Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico a Kiev, racconta queste ore drammatiche nel Paese ormai in guerra da tre anni.
“Gli sguardi che mi colpiscono di più in Ucraina sono quelli degli uomini e delle donne che, pur avendo ricevuto qualche giorno di riposo o di riabilitazione, non riescono né sorridere, e a volte neanche a parlare. Perché hanno visto troppi morti tra i propri compagni. E sanno che è difficile condividere la loro esperienza con gli altri. Le brutalità della guerra, le sperimenti sulla propria pelle; il racconto per gli altri sarà sempre parziale”, sottolinea mons. Kulbokas, al quale i giornalisti chiedono quale “volto” della Croce di Gesù lo colpisca di più in queste ore.
Il volto della croce
“È questo il volto della croce? Sì, anche se la sofferenza umana – osserva il nunzio – non raggiunge la grandezza e il significato della passione di Cristo, la aiuta a capire. Soprattutto, perché comprende una grande solitudine in vari sensi, anche quello morale. Ti puoi trovare quasi da solo ad affrontare la sfida della sopravvivenza. Ti chiederanno, perché non sorridi, perché sei stanco. E non saprai neanche come rispondere. Ma in mezzo a questa solitudine, risplende ancora di più la grandezza della Risurrezione di Cristo: il Redentore ha sofferto, anzi continua a soffrire per te e per me, e mi apre il cammino ad una Vita immensamente più bella ed eterna, e vince tutte le superficialità degli esseri umani, cioè di ciascuno di noi”.
“Dov’è Cristo? Dove fa più male”
“In questo Giovedì Santo ci chiediamo: dov’è Cristo?”. “E noi rispondiamo: dove fa più male”. Per questo ogni sacerdote “sente il dovere di essere là dove Dio soffre e piange nell’uomo oggi”. È quanto ha sottolineato a sua volta ieri Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore dei greco-cattolici ucraini nell’omelia pronunciata per il Giovedì Santo nella chiesa di San Basilio Magno a Kiev.
“In questo momento – ha aggiunto -, la nostra preghiera si rivolge ai luoghi dove viene versato il sangue” e “in modo particolare” ai “nostri cappellani militari, che sono fianco a fianco con i nostri difensori, senza i quali questa Pasqua non sarebbe sicuramente possibile, nemmeno qui a Kiev”.
Nell’omelia, l’arcivescovo ha chiesto di pregare anche per le vocazioni sacerdotali. “Le nostre necessità aumentano, ma le possibilità non tengono il passo”. Secondo i dati di Shevchuk, solo in Ucraina, in pochi anni il numero dei fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina è cresciuto di una volta e mezza. Rivolgendosi ai seminaristi, ha detto: “Sappiate che la Chiesa ha bisogno di voi. Ciascuno di voi è un dono prezioso per noi, più prezioso dell’oro. Non perdete né trascurate la vostra vocazione”.
Agensir/red