Ormai al termine del Sinodo dell’Amazzonia, in attesa di poter leggere il documento finale, cerchiamo di tirare un primo bilancio di quanto appena vissuto a Roma risentendo padre Dario Bossi, superiore provinciale dei Missionari comboniani in Brasile, membro del Repam (Rete Ecclesiale Panamazzonica) e della rete Iglesias y Minería, in Amazzonia da 15 anni.
Padre Bossi, quali sono le sue considerazioni al termine di queste settimane così dense e piene di contributi? «Innanzitutto è importante considerare che il Sinodo non si è costituito ed esaurito solamente in queste settimane: è un processo nato due anni fa, che ha coinvolto centinaia di comunità, migliaia di persone, in una diversità e pluralità estrema e che ha visto una partecipazione unica. Sia nella fase preparatoria, sia in quella vissuta in questi giorni a Roma nella sala sinodale, la dimensione fondamentale è stata quella dell’ascolto e della partecipazione. Il Sinodo ha dunque presentato il volto di una Chiesa che si apre al dialogo con tutte queste realtà: tema dell’evento era “Nuovi cammini” e a Roma si è proprio potuto vedere una Chiesa che sta intraprendendo nuovi cammini. Una volta reso pubblico il documento finale dei lavori sinodali approvato da papa Francesco, si aprirà un’altra fase del Sinodo, ovvero quella della condivisione. Tale documento, infatti, avrà senso solamente se verrà restituito a tutte le comunità che sono state coinvolte nella tappa anteriore ».
Uno degli obiettivi di questa fase del Sinodo a Roma era quello di far emergere il volto della Chiesa dell’Amazzonia, dando voce ai popoli indigeni: si è riusciti a realizzarlo? «Senza dubbio, non solo all’interno della sala sinodale; nel corso di queste settimane abbiamo sperimentato e visto una Chiesa in un dialogo aperto anche con la società civile. C’è stata una grande partecipazione dei padri sinodali ma anche di tantissime altre persone giunte a Roma con l’obiettivo di far conoscere la realtà dell’Amazzonia, la sua diversità culturale, facendo emergere il volto di una Chiesa cattolica che si incarna».
L’altro grande tema del Sinodo era quello riguardante l’emergenza ambientale introdotta da papa Francesco con la Laudato si’… «Certamente, sempre più ci stiamo rendendo conto che la risposta all’emergenza ambientale deve arrivare ora, o sarà troppo tardi. Tutti noi necessitiamo di una conversione nei confronti del modello economico che sta distruggendo in modo sistematico e strutturale i territori, impostando un livello di estrazione dei beni comuni, della forza lavoro e persino dell’anima dei popoli e delle culture. Papa Francesco all’apertura del Sinodo ci sfidava a cogliere la poesia dei popoli in risposta a un sistema omogeneizzante. Il modello su cui si basano sempre più le nostre vite ci sta riducendo a desiderare, consumare e scartare in tempi sempre più brevi: è un modello che sta creando il vuoto, uniformando e appiattendo tutto. Il Papa ci invita invece a valorizzare la capacità relazionale che le comunità, i territori e le culture locali, continuano a mantenere».
Cosa porta a casa alle sue comunità? Come trasmetterà quanto ha vissuto in questo Sinodo?
«Sono venuto a Roma con una peso enorme sulle spalle: mi sentivo responsabile per tutte quelle persone che negli ultimi anni avevo incontrato e ascoltato. Al Sinodo portavo anche le loro voci, come comunità brasiliana, come Chiesa amazzonica. Non sono venuto a Roma solo a mio nome, sentivo la spinta di tante persone, le loro aspettative. Torno dunque a casa carico di questo impegno, sapendo che il Sinodo aprirà nuovi cammini, ma che altri nel frattempo sono già iniziati grazie al risveglio di una Chiesa sinodale sul territorio. L’evento Sinodo in sé, al di là del suo contenuto, è qualcosa che ha ravvivato e rinnovato la freschezza del nostro impegno in difesa dell’Amazzonia» .
Silvia Guggiari
Guarda anche l'intervista di VaticanNews. O rileggi la prima intervista, fatta a padre Bossi all'inizio del Sinodo.