Romena, in Toscana. Chi legge questo nome forse andrà con la memoria a Dante, che la menziona nella Divina Commedia, visto che qui trascorse un certo tempo. Siamo in una valle intrisa di spiritualità, la valle di Camaldoli e La Verna. A Romena c’è una Pieve attorno alla quale, negli anni, è nata una fraternità che ha come punto di riferimento un prete toscano, don Luigi Verdi, volto noto a chi segue al sabato la trasmissione su RAIUno «A Sua immagine» alle 16, dove don Gigi conduce la rubrica «Le ragioni della speranza».
Don Luigi è cristiano per conversione e prete per vocazione, lui che proviene da una famiglia «rossa» e operaia. Nato con una disabilità alle mani che lo segna per sempre, povero e con un padre che quella miseria aveva reso anche violento nei confronti della madre e dei figli, lui rielabora questo vissuto duro grazie ad un incontro che gli fa presente l’accoglienza e la speranza di una risurrezione possibile. Per questo don Luigi ha nel DNA la sensibilità giusta per stare accanto ai feriti della vita e a chi è in ricerca, due parole che sintetizzano la missione della sua fraternità nata 25 anni fa, attorno alla Pieve di Romena: offrire un luogo di sosta ai viandanti di ogni dove per ritrovarsi e riscoprire la bellezza della propria unicità, una sosta per poi riprendere e proseguire il proprio personale cammino di crescita.
Don Luigi terrà un incontro in parrocchia a Besso, lunedì prossimo 21 ottobre alle 20,30. Don Luigi, quanto c’è bisogno di essere ascoltati e di luoghi dedicati a questa attenzione, come la vostra fraternità di Romena? «Stiamo vivendo in un mondo abitato da ritmi folli e veloci, come mai prima nella storia, la cui conseguenza è una frammentazione individuale e una grande disattenzione: il corpo va da una parte, l’anima dall’altra, la mente da un’altra ancora, non hai più una vita unificata. Nella nostra fraternità non vogliamo convertire nessuno ma aiutare le persone a ricuperare l’attenzione più preziosa: ascoltarsi. L’ascolto è l’inizio».
Lei ascolta storie di persone ferite: il male ha un senso, quale? «Il male è dentro alla vita, la vita è un insieme di bellezza e frattura, di dolore e gioia. Quindi il vero problema è quello di “stare dentro al male”, dentro a quelle che io chiamo “le ombre”. Cos’è l’ombra? È qualcosa o qualcuno che si mette tra te e la luce. Bisogna quindi vedere dov’è l’ombra nella tua vita, qualcosa o qualcuno che offusca la luce che hai in te: la malattia, il lutto da elaborare, il dolore è spesso qualcosa che non possiamo fare altro che portarci dentro e attraversarlo».
Come si può vivere con il proprio dolore, fisico o morale che sia? «Dal dolore non puoi fuggire, devi attraversarlo riscoprendo un atteggiamento fondamentale: la dignità. Io accompagno tanti genitori che hanno perso dei figli. La cosa più bella per me è quando vedo persone ferite che avrebbero tutto il diritto di maledire la vita, ma invece di maledirla la portano avanti, si “alzano”. Pensiamo alle beatitudini del Vangelo: “beati voi che soffrite”. Spesso si crede che “beati” voglia dire “felici”, invece non è così, il termine ebraico significa “stai diritto in piedi” tu che sei povero, tu che soffri. Per me aiutare la gente a stare in piedi davanti e dentro al dolore, significa puntare sulla loro dignità».
Prima ha detto che l’ascolto è l’inizio. Cosa serve ancora? «Certo l’ascolto è importante ma siamo fatti di corpo, mente e anima. Quindi abbiamo bisogno anche di silenzio, che per me è 100 volte più potente delle parole, ma anche di lavoro fisico e di una casa. A Romena diciamo che una persona necessita di tre cose: un pezzo di pane, un po’ di affetto e di sentirsi a casa. “A casa” significa avere qualcuno che mi guarda, mi ascolta, mi perdona, mi consola. Questo serve molto di più della sola analisi psicologica».
Il tema dell’incontro di lunedì sera a Besso è «l’amore fattelo bastare»: basta veramente l’amore? «Oggi viviamo in un tempo dominato dalle paure, ma la paura per me è un sentimento che viene al secondo posto, infatti hai paura perché ami qualcuno. “L’amore fattelo bastare”, è un messaggio che provoca in un tempo dove sembra che mai nulla basti invece di riuscire a ripartire da quel “poco” che si ha, dalle cose essenziali. Se l’amore non basta, niente ti basterà mai».
Cristina Vonzun