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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (14 novembre 2025)
  • Frère Matthew

    Fr. Matthew: «A Taizé cerchiamo di mettere in pratica la sinodalità»

    Corresponsabilità e sinodalità: è in questo spirito che Frère Matthew vive la sua responsabilità di priore della comunità ecumenica di Taizé da due anni. Si è confidato con cath.ch sulla vocazione della comunità e ha condiviso le sue preoccupazioni e speranze per i giovani.

    di Geneviève de Simone Cornet / cath.ch

    Frère Matthew è stato di passaggio alla cattedrale di Losanna il 9 novembre 2025, in occasione della preghiera di Taizé. Il priore, di tradizione anglicana, ha risposto all’invito di Timothée Reymond, pastore a Romainmôtier. Era già venuto a Losanna nel 1992 con Frère Roger. Frère Aloïs vi era venuto nel 2008. «Accogliendo l’invito che mi è stato rivolto, mi sono inserito nei passi dei miei predecessori, onorando la tradizione di organizzare una preghiera con i canti di Taizé nella cattedrale.»

    Lei è priore della comunità ecumenica di Taizé dal 2023: cosa le ha portato questo tempo a livello personale?

    Frère Matthew: È un grande dono e un privilegio essere priore di una tale comunità, e lo vivo con grande serenità. Mi inginocchio davanti ai fratelli che vengono da lontano, perché impegnarsi in una comunità in cui siamo così diversi gli uni dagli altri richiede coraggio e una decisione personale di seguire Cristo. In questo gesto c’è sempre qualcosa della kenosi (una nozione teologica che significa che Dio si spoglia volontariamente di alcuni attributi della sua divinità, ndr), c’è qualcosa che si dona: è come il chicco di grano che muore per portare frutto — qualcosa in noi deve morire per rinascere.

    Ciò che mi importa è andare verso una maggiore corresponsabilità. Essendo stato molto coinvolto nella sua preparazione, resto molto segnato dalla veglia ecumenica Together, presieduta da papa Francesco per l’apertura della prima sessione del sinodo sulla sinodalità, il 30 settembre 2023. È stata un’autentica esperienza sinodale, perché vi abbiamo associato movimenti di tutte le confessioni. Questa veglia, alla presenza dei partecipanti al sinodo, li ha introdotti in uno spirito di ascolto e di preghiera e ha dato un impulso ecumenico al sinodo.

    A Taizé, cerchiamo di mettere in pratica la sinodalità. Gruppi di lavoro composti da diversi fratelli riflettono insieme sui vari ambiti della vita comunitaria. Le decisioni ora si basano sulla condivisione e sulla riflessione comune, il che implica ciascuno nella governance della comunità. È una sfida, richiede tempo, ma è la via sulla quale dobbiamo camminare. Più ognuno è coinvolto, più si impegna. E questo significa anche prendere sul serio la vocazione dei battezzati.

    Accogliete molti giovani ucraini a Taizé: come è presente la comunità accanto a loro?

    Il tema di quest’anno a Taizé è la speranza, lo stesso tema dell’anno giubilare nella Chiesa cattolica. Ho scritto a questo proposito un testo intitolato Sperare oltre ogni speranza, basato su conversazioni con giovani provenienti da Paesi in guerra — Ucraina, Libano, Terra Santa, Myanmar. Bisogna iniziare ascoltando questi giovani, perché hanno qualcosa da dirci: la forza della loro fede nella Risurrezione, nella vita più forte della morte, questa fede viva che li aiuta a resistere e ad andare avanti. Bisogna partire dalla realtà, da ciò che le persone vivono. È molto duro, ma è una testimonianza di fede che merita di essere ascoltata.

    Io stesso sono andato in Ucraina lo scorso anno con alcuni fratelli: le persone sono molto riconoscenti della nostra presenza, che mostra loro che non sono dimenticate. Non eravamo lì per portare soluzioni: abbiamo incoraggiato persone impegnate e solidali e offerto spazi di preghiera che riunivano cristiani di tutte le confessioni in una situazione ecclesiale complessa.

    Cosa pensa attragga così tanti giovani a Taizé? Cosa vengono a cercare?

    Sono molto diversi tra loro, ed colpisce vedere quanto riescano a inserirsi nella preghiera comune, una preghiera semplice – canti ripetuti, letture bibliche, intercessioni, tempi di silenzio. Per molti di loro ciò che li colpisce di più è proprio il silenzio. Molti lo scoprono a Taizé, e ne sono molto impressionato.

    E questa ricerca di silenzio aumenta: in un mondo iperconnesso, i giovani hanno bisogno di spazi in cui possano essere se stessi davanti a Dio e agli altri; spazi in cui si sentano al sicuro, possano stare insieme e dialogare liberamente. I giovani sono istintivamente sinodali: gli scambi in piccoli gruppi e l’ascolto si praticano da decenni a Taizé.

    Cosa fare di fronte alla crescita, nelle nostre società, dell’identitarismo e del ripiegamento su di sé?

    Siamo uomini in ricerca, in cammino. Non abbiamo soluzioni, ma accogliamo coloro che desiderano condividere un po’ del nostro tempo. Ci rallegriamo della diversità delle persone e dei percorsi, e constatiamo che è possibile condividere in Cristo anche se si hanno opinioni differenti.

    La sfida oggi è lottare contro la polarizzazione. Alcuni, prigionieri del proprio algoritmo, sono incapaci di guardare oltre. Come accoglierli e ascoltarli senza condannarli? Sono in cerca di punti di riferimento, in ricerca di autenticità – tuttavia, non è raro incontrare un giovane che partecipa al pellegrinaggio di Chartres, agli incontri della Comunità dell’Emmanuele a Paray-le-Monial e anche a un raduno a Taizé. Spetta a noi accompagnare gli slanci positivi, il desiderio di impegnarsi. Perché ogni incontro con l’alterità ci arricchisce.

    Come vede il futuro delle Chiese?

    Viviamo un periodo magnifico, perché le Chiese stanno perdendo potere, diventano povere. È un’occasione straordinaria per tornare a essere il lievito nella pasta, il sale della terra, per vivere davvero il Vangelo. La questione del potere è molto complessa, e abbiamo ferito molte persone, anche a Taizé, dove ci sono stati casi di aggressioni sessuali. Siamo ancora in cammino per affrontare questo tema, e ci facciamo aiutare. Organizziamo regolarmente atelier per riflettere insieme, tra di noi e con i giovani che accogliamo.

    Come giudica la nomina di una donna ad arcivescovo di Canterbury?

    La nomina di Sarah Mullally come arcivescovo di Canterbury per me rientra nell’ordine delle cose, è una conseguenza naturale dell’ordinazione episcopale. Anche se ciò ha provocato fratture nella comunione anglicana che ci interrogano su come gestire tali questioni internamente. È molto bello che questa donna abbia avuto una vita professionale nel campo della sanità, e che sia stata a capo di una diocesi della Chiesa d’Inghilterra confrontata a grandi sfide, tanto a livello di frattura sociale quanto di diverse visioni ecclesiali.

    E il posto delle donne nella Chiesa cattolica?

    Ci sono evoluzioni. Papa Francesco ha nominato donne a posti di responsabilità, in dicasteri. E non è cosa da poco. Certo, ci si focalizza sull’accesso delle donne al sacerdozio, ma bisogna anzitutto riflettere su cosa significhi essere prete e lottare contro il clericalismo. E tornare al battesimo, che fa di ogni cristiano un sacerdote, un profeta e un re.

    Presto delle donne nella comunità di Taizé?

    La comunità è pronta per un tale passo? È chiamata a questo? Sono le domande che mi pongo. Non si tratta di creare un ramo femminile di Taizé. Non bisognerebbe piuttosto cercare forme ecclesiali adatte alla nostra epoca, in risposta alla ricerca dei nostri contemporanei? Da sessant’anni viviamo una bellissima collaborazione con le Suore di Sant’Andrea, che accompagnano le giovani donne che vengono a Taizé. Senza di loro non sarebbe possibile vivere ciò che viviamo oggi.

    fonte: cath.ch/gsc/bh/traduzione catt.ch

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