di Corinne ZauggMons. De Raemy, a una settimana dall’ultimo episodio di denuncia per abusi che ha sconvolto la diocesi di Lugano ha voluto, nel giorno della festività dell’Assunta, esprimere la sua vicinanza a quella che ormai da due anni è diventata la «sua» gente. Lo ha fatto con una breve lettera che ha affidato ai singoli preti con preghiera di lettura a fine messa.In essa mons. De Raemy si rivolge ai fedeli con parole franche, schiette, di chi non vuole aggirare la questione, ma andarvi dritto al cuore. Subito all’inizio, per la prima volta in un documento firmato dalla curia, appare il nome del prete indagato: una scelta su cui nei giorni scorsi si erano divisi anche i media.Poi mons. De Raemy ha condiviso quelli che sono stati i suoi stati d’animo: sorpresa, pianto, dolore, preoccupazione, inquietudine. Stati d’animo che da quel giovedì sera di 10 giorni fa ci accompagnano tutti, in una giostra che non conosce soluzione di continuità.Il vescovo ha poi invocato delle attitudini: carità, aiuto reciproco, pazienza, preghiera. Pietre miliari del nostro credo ma che proprio quando il cammino si fa duro e il sentiero si inerpica, si fanno fatica a praticare.E infine ha indicato due obiettivi a cui tendere: giustizia e verità. Perché non c’è una senza l’altra. Ed entrambe sono da percorrere fino alla fine.Una lettera autentica, questa di mons. De Raemy: autentica e dolorosa come dolorosa è tutta questa vicenda. Molti gli occhi lucidi alla fine della lettura. Molti, alla fine della messa, hanno sentito il bisogno di fermarsi sul sagrato per scambiare due parole: col parroco, con gli altri fedeli.In questi terribili giorni del dubbio e dell’incredulità, della verità da appurare e quindi di un’attesa pesante, le parole del vescovo hanno avuto l’effetto di una carezza. Una carezza che non ha la capacità di sciogliere da sola il groppo di rabbia e dolore che fa stringere il cuore, ma che ha fatto comunque bene. Ha dato respiro. E infuso, credo, anche un po’ di coraggio.Perché ce ne vuole tanto per affacciarsi sul baratro del male. Per interrogarsi sul male possibile: ad accettare che possa purtroppo anche esistere. Che abiti le creature. Nonostante Dio. Perché bisogna essere forti per non lasciarsi sopraffare dallo sconforto, per non perdere la speranza, la fede. Negli uomini. Nella Chiesa. In Dio. Più facile – forse – sarebbe gettare la spugna e con essa quella poca fede che ci è rimasta. Annoverarci tra i non (più) credenti. E se invece proprio in questo abisso, in questo dolore, in questa pesante attesa della verità, scoprissimo la presenza di Dio? E all’improvviso capissimo quello che la filosofa Simone Weil intendeva quando scriveva che «il dolore, se accettato, è fruizione di trascendenza, è contatto con Dio»?Non è facile credere il venerdì santo, quando ogni progetto sembra essere fallito. Ogni sogno, parrebbe essere tradito. Ma troppo facile è credere a Pasqua!«Possa la Vergine Maria, che ha conosciuto ai piedi della croce del suo Figlio il più grande smarrimento personale della storia dell’umanità – ha concluso il vescovo – aiutarci ad accogliere e vivere questo momento difficile».Qui il testo completo del messaggio del vescovo, letto lo scorso 15 agosto nelle chiese ticinesi. di Corinne Zaugg
Intervista a fra’ Michele Ravetta, cappellano delle strutture carcerarie cantonali.
Un centinaio di persone, il 15 dicembre, hanno fatto un percorso dal sagrato della chiesa di S. Rocco fino alla chiesa di S. Giorgio, dove si è potuto ammirare, in una grotta, la rappresentazione vivente della Natività.
Raccolti CHF 26'500 a sostegno delle persone in difficoltà in Ticino. I fondi saranno destinati a due realtà locali che incarnano i valori di solidarietà ed assistenza: alla Lega Cancro Ticino (in aiuto ai bambini) ed alla Fondazione Francesco (di fra Martino Dotta)