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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (19 dicembre 2024)
Catt
  • I commenti al Vangelo di domenica 10 novembre

    I commenti al Vangelo di domenica 10 novembre

    Calendario romano Mc 12,38-44

    La Carità nasce dalla Provvidenza

    di Dante Balbo*
    Ho studiato fino alla fine delle scuole medie in un'altra città, lontano da casa. Durante l'estate ero al mio paese, ma i compagni, le amicizie, i miei vissuti erano altrove. Sono tornato poi a studiare nella mia cittadina e non è stato facile. Ci è voluto qualche tempo per non sentirmi straniero, ma ricordo un professore, mai incontrato prima, che mi prese a cuore, cercò di integrarmi con ogni mezzo. Ancora dopo molti anni lo rammento con affetto. Gesù è spesso tentato di valorizzare proprio gli stranieri, quelli che il popolo ebraico chiamava cani, per dire l'amore gratuito di Dio. Questo suo insegnamento ha una tradizione proprio nelle stesse Scritture di Israele, come nella prima lettura di questa XXXII domenica del Tempo Ordinario, in cui una vedova straniera riceve dal profeta Elia il miracolo della farina in una madia che non si esaurisce per nutrire lei e suo figlio fino alla fine della carestia. Quella di Gesù non è una simpatia per gli stranieri, anche se li cita nel passo del giudizio finale, identificandosi in essi, ma in questo caso, nel Vangelo sta testimoniando che l'amore è fiducia, affidamento nella Provvidenza del difensore degli ultimi. Ci sono molti modi di essere straniero anche nella propria città, come al tempo del Messia, quando stranieri erano gli orfani, le vedove, le donne. L'offerta di una vedova nel tesoro del tempio, che le fa deporre gli ultimi suoi spiccioli, è più importante delle monete sonanti che erano un messaggio di gloria personale più che di vera fede nel padre provvidente e misericordioso. Gesù non giudica i ricchi perché hanno denaro, ma perché non sono in grado di accogliere la carità, l'amore gratuito di Dio che ci salva: il potere, il denaro, spesso oscurano la mente, ci fanno sentire sicuri, capaci di fare tutto da noi. Le vedove, gli stranieri, i poveri, hanno un'occasione in più per affidarsi alla gratuità della misericordia divina. Allora avevo bisogno di tutto, forse per questo ricordo la benevolenza gratuita di uno sconosciuto cui non potevo restituire niente. *Il Respiro spirituale di Caritas Ticino

    Calendario ambrosiano Lc 23,36-43

    Cristo, prototipo dell’uomo realizzato

    di don Giuseppe Grampa
    Riconosciamolo: è arduo parlare di regalità guardando la croce come abbiamo appena letto nella pagina evangelica. Dove sono i segni del potere proprio dei sovrani? Sul Calvario vi è solo sangue, violenza, sofferenza e una scritta in tre lingue affinché tutti la capissero: «Gesù Nazareno, re dei Giudei» (Gv 19,19).
    Quello di «re» è un titolo che può essergli attribuito ma secondo una accezione assolutamente singolare. Forse proprio per questo la festa di Cristo Re è tardiva nel calendario della Chiesa. Fu Pio XI che nel 1925 volle la celebrazione di questa festa in un contesto decisamente polemico. Il fascismo cominciava a mettere radici in Europa con la progressiva emarginazione dei valori cristiani dalla vita civile. Nell’intenzione del Papa che pochi anni dopo avrà il coraggio di alzare la sua voce contro le aberranti dottrine naziste, la fede nella regalità di Cristo doveva impedire di sacralizzare un uomo, fosse pure il Führer, e il suo potere. La pericolosa tendenza di certe forme del potere politico di appropriarsi di Dio, pensiamo allo scandaloso «Gott mit uns», «Dio con noi» del nazismo, e a tutti i totalitarismi, è oltraggio all’unica vera sovranità di Cristo. L’adorazione di Cristo Re ci impone leale rispetto per l’autorità costituita ma senza alcun investimento religioso. Nata in un contesto polemico la festa odierna manifesta comunque un valore perenne. L’immagine regale vuole esprimere il primato di Cristo, il suo essere il prototipo dell’umanità, l’uomo nella sua compiutezza, l’uomo pienamente realizzato. Ma il luogo di questa realizzazione è la croce, è l’incondizionato dono di sé. Proclamare «Cristo re» vuol dire proclamare il trionfo di chi sta in mezzo a noi come colui che serve. Guardiamo Cristo, re sul paradossale trono che è la croce, luogo sì di un potere, quello del perdono e della salvezza non solo per quell’uomo passato alla storia con il nome di «buon ladrone» ma per ognuno di noi.

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