Calendario romano Mc 10,17-30
di Dante Balbo*
Mi sono tuffato in una nuova impresa, alla verde età di 65 anni, affrontando un percorso universitario in teologia. Una pazzia, dirà qualcuno, una opportunità, un impegno coraggioso, affermerà qualcun altro, ma per me un’occasione di approfondire il rapporto con il Signore, per meglio conoscerlo, servirlo e amarlo. La libertà è una scelta non facile, perché nelle sue caratteristiche comprende almeno tre possibilità.
C’è una «libertà da», di solito la più importante per chi adolescente cerca di svincolarsi dalle regole della famiglia, della scuola, delle istituzioni in generale. Poi esiste una «libertà di», quella che ci permette di scegliere quello che desideriamo, che ci sembra ci realizzi, ci fa sentire protagonisti della nostra vita, attori dei nostri progetti. Noi però siamo esseri in relazione, abbiamo bisogno di una libertà diversa, da vivere per qualcuno. Quando ci innamoriamo, apparentemente ci riempiamo di vincoli, dobbiamo stare sempre in contatto con l’amata, facciamo tutto quello che può farle piacere, ci adattiamo ai suoi gusti, per lei impariamo cose nuove, che non abbiamo mai fatto.
Stranamente, tuttavia, proprio in questo esercizio del dono di noi stessi, sperimentiamo la sensazione di libertà più autentica, ci sentiamo finalmente noi stessi, appagati, realizzati. Questo è quello che capita nel vangelo della XXVIII domenica del tempo ordinario, in cui un giovane chiede a Gesù cosa fare per realizzarsi in pienezza. Quando però il maestro gli chiede di fare il salto, di donarsi totalmente ad un rapporto d’amore, dimenticando tutto quello che era prima, tutti i suoi averi, le sue mete, i suoi progetti, si ritira. Avrebbe avuto l’occasione di esercitare la libertà più totale, ma ha preferito i vincoli rassicuranti del possesso, della sicurezza, del sentiero già noto. Viviamo in una società libera, ma da qui alla vera libertà c’è una strada impegnativa, che ci chiede di fidarci di chi questa possibilità può darci, se lo accogliamo come il centro del nostro amore.
*Dalla rubrica televisiva Il Respiro spirituale
Calendario ambrosiano Mt 13,24-43
di don Giuseppe Grampa
La parabola di questa domenica racchiude un altro confortante messaggio: quello della pazienza di Dio che dà all’uomo il tempo della conversione. Certo la giustizia umana deve agire risolutamente nel tentativo di sradicare la zizzania dal corpo sociale, ma la giustizia divina ha tempi diversi. Ai servi troppo zelanti non è consentito sradicare la zizzania, non è permesso farsi giudici separando il bene dal male: il giudizio appartiene solo a Dio che lo eserciterà a suo tempo. Fino a quell’ultimo giorno, nella storia umana così come nel cuore di ognuno di noi, buon grano e zizzania convivono, la pazienza di Dio dà ad ognuno il tempo per far crescere il buon grano pur nella presenza del male, della zizzania. Anche nella comunità dei discepoli, nella sua santa Chiesa, grano e zizzania crescono insieme: la Chiesa che giustamente chiamiamo santa, non è una comunità di puri: nei suoi solchi fiorisce il bene ma purtroppo mette radice anche il male. Riconoscerlo è il primo passo per vincerlo. Il Concilio ci ricorda che «la Chiesa comprende nel suo seno i peccatori, santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento» (LG 8). Preziose le due piccole parabole del minuscolo seme che dà vita ad un grande albero ospitale per gli uccelli del cielo e del pugno di lievito che, nascosto nella farina, la fa fermentare tutta perché sia buon pane. Si direbbe eccentrico questo agire di Dio che sceglie ciò che è piccolo e debole per confondere quello che è forte, affinché nessuna creatura possa vantarsi dinanzi a Dio (1Cor 1,27-29), perché si riconosca che è Lui il Signore della storia. La logica delle parabole del piccolo seme e del pugno di lievito è la logica dei piccoli numeri: come il resto di Israele, come i pochi discepoli di Gesù, così anche noi di fronte al vasto e complesso mondo: se avremo in noi la forza del seme e del lievito non avremo timore a stare dentro le sfide del nostro tempo. La zizzania non avrà l’ultima parola.
Intervista a fra’ Michele Ravetta, cappellano delle strutture carcerarie cantonali.
Un centinaio di persone, il 15 dicembre, hanno fatto un percorso dal sagrato della chiesa di S. Rocco fino alla chiesa di S. Giorgio, dove si è potuto ammirare, in una grotta, la rappresentazione vivente della Natività.
Raccolti CHF 26'500 a sostegno delle persone in difficoltà in Ticino. I fondi saranno destinati a due realtà locali che incarnano i valori di solidarietà ed assistenza: alla Lega Cancro Ticino (in aiuto ai bambini) ed alla Fondazione Francesco (di fra Martino Dotta)