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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (5 luglio 2025)
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  • I commenti al Vangelo di domenica 6 luglio

    Calendario romano

    La pazienza e la speranza degli ultimi

    di Dante Balbo

    Prima ancora di venire ad abitare in Svizzera, nella mia città natale, fui coinvolto nella realizzazione di un recital da cui partimmo per produrne una versione più estesa, con alcuni giovani ticinesi. Fu un’esperienza entusiasmante, che coinvolse ragazzi cristiani, atei, studiosi e disagiati, tossici e infermieri, mobilitandoci per mesi. Il nucleo di quello spettacolo era la fede di Anna e Simeone, i due anziani profeti che ebbero la gioia di incontrare Gesù appena nato e di riconoscerlo come il Salvatore di Israele. Trovarono le opposizioni di tutti, sacerdoti e scribi, soldati e altri, ma non si arresero e attesero, per abbracciare il bambino che avrebbe cambiato la storia. Lui era il re, ma Israele un sovrano non lo aveva da centinaia di anni; era il liberatore, ma il popolo era sotto il giogo della potenza romana; era il nuovo gran sacerdote, ma il potere religioso era nelle mani di uomini irrigiditi nella forma e nell’applicazione di una miriade di precetti che andavano ben oltre la Legge data dal Signore.

    Era l’atteso, ma veniva da una coppia di Nazareth, un paesino che l’apostolo Bartolomeo avrebbe definito come un posto da cui non può venire nulla di buono. Eppure questi anziani, ignorati e derisi, seppero intravvedere l’opera potente del Dio che salva, in quel fragile figlio degli ultimi.

    Questo è quanto ci viene chiesto in un tempo incerto, in cui la parola di Dio ci viene incontro nella XIV domenica del Tempo ordinario, con una promessa inaudita, in cui Dio farà scorrere come un fiume la pace. A dirlo un altro profeta, Isaia, In un tempo non molto diverso dal presente, con guerre e incertezza politica, povertà e indifferenza religiosa.

    Per poterlo affermare anche oggi, però, è necessario che ritroviamo la nostra consapevolezza, la comprensione della nostra differenza dal mondo, dell’appartenenza ad una realtà, quella cristiana, in cui siamo come gli altri, eppure diversi, ci muoviamo e agiamo nel mondo, ma apparteniamo ad un regno in cui l’amore e la speranza hanno un fondamento sicuro nel Signore Risorto.

    Calendario ambrosiano

    Il vero culto a Dio è un cuore riconciliato

    di don Giuseppe Grampa

    L’Evangelo di questa domenica è costituito da due frammenti del grande Discorso della Montagna. Ripetutamente il discorso è scandito dalla formula, che ritroviamo anche nella pagina odierna: «Avete inteso che fu detto agli Antichi, ma Io vi dico...»; «È stato detto “Non ucciderai”, ma io vi dico: amate i vostri nemici»; in poche parole: non considerate nessuno come nemico, cancellate questa parola dal vostro vocabolario. E se la legge antica si limitava a proibire l’omicidio, la nuova legge, quella che è la persona stessa di Gesù, proibisce anche solo pensieri e parole offensive verso l’altro. Questo linguaggio di Gesù traduce con forza il comandamento: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22,39). Un comandamento che possiamo rendere ancor meglio: «Amerai il prossimo tuo perché è te stesso». L’altro che appunto avvertiamo come «altro», cioè diverso, estraneo e ostile, l’altro che proprio con la sua alterità-diversità inquieta la mia sicurezza, in verità non è altro ma me stesso. E lo è in forza della medesima umanità e in forza della comune appartenenza ad un unico Padre di tutti. Davvero l’altro non è «altro», è «me stesso». Anzi, riconoscerlo non come «altro» ed estraneo ma come «prossimo», al punto d’esser me stesso, è l’unica condizione per poter accedere a Dio e al suo altare. Una parola, questa, perfettamente adatta alla nostra attuale situazione di persone che si stanno avvicinando a Dio, al suo altare, per portarvi le proprie offerte. Ebbene: solo se siamo in pace con gli altri, se siamo pronti a rimuovere ogni ostacolo sulla via della riconciliazione, lo sguardo di Dio si volgerà benigno a noi e ai nostri doni. Tra poco questa parola evangelica ci sarà ricordata e saremo invitati a scambiare un segno di pace e fraternità prima di presentare i nostri doni all’altare. Prezioso questo gesto che deve ricordarci come il vero culto a Dio gradito è quello di un cuore riconciliato e aperto all’accoglienza e all’amore fraterno. Ad ognuno di noi Dio affida la custodia del proprio fratello. Davvero ama il tuo prossimo, è te stesso.

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