Il cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, racconta come la sua “Piattaforma interreligiosa per la pace”, lanciata nella Repubblica Centrafricana con un imam e un pastore, sia fonte di ispirazione per il Sinodo. Spiega anche perché la sicurezza è migliorata nel suo Paese, soprattutto grazie alla presenza russa. Soprannominato da alcuni il “cardinale del coraggio”, il cardinale Nzapalainga è una delle figure in ascesa della Chiesa cattolica in Africa. Creato cardinale nel 2016 a soli 49 anni, l'arcivescovo di Bangui (Repubblica Centrafricana) sta partecipando al Sinodo sulla sinodalità, che si concluderà a Roma il prossimo 27 ottobre.
Due anni fa, in un contesto di tensioni sociali, etniche e religiose, lei ha scritto un libro* sul caos nel suo Paese. Qual è la situazione oggi?
Cardinale Nzapalainga: Possiamo notare dei miglioramenti in termini di sicurezza. È tornato un clima di pace e questo ci permette di svolgere il nostro lavoro pastorale, di creare e visitare parrocchie che prima si trovavano in territorio controllato dai ribelli. Posso dire che il 95% del Paese è ora sotto il controllo del Governo. I ribelli di ieri sono diventati una sorta di briganti. Non fermano più le auto perché hanno paura. Ma continuano a rapinare moto e pedoni. A Bangui, la capitale, la sicurezza è tornata. Un'indicazione: gli aerei possono ora passare la notte in aeroporto. Prima era impossibile. Non è ancora idilliaco, ma abbiamo fatto molta strada dal caos e dal nulla. Ci vorrà tempo per ricostruire ponti e scuole. Il mio ruolo è quello di vigilare e garantire che i fondi destinati alla ricostruzione siano ben utilizzati. Ho la fortuna di poter parlare con il Presidente e di essere ascoltato. Ho molta libertà di parola.
L'arrivo delle truppe russe nel suo Paese ha contribuito a migliorare la situazione della sicurezza?
Dobbiamo dire la verità: la causa del cambiamento è proprio la presenza russa nella Repubblica Centrafricana. I ribelli hanno paura dei russi! Appena sentono parlare di loro, fuggono.
Quindi questa presenza è benefica?
Nel recente passato abbiamo assistito a crimini di massa. Ho pianto quando ho visto uomini e donne che rappresentavano il futuro del Paese scomparire a causa di barbare violenze. La situazione è cambiata con la presenza russa, è vero. Ma non mi faccio ingannare. Non sono dei chierichetti. Hanno il loro modo di operare e io condannerò sempre la violenza. Sappiamo anche che sono venuti per cacciare i ribelli che occupavano territori ricchi di diamanti e oro. Si potrebbe dire che il governo compra sicurezza lasciando che i russi sfruttino le risorse.
Lei ha contatti con i russi?
No. Quando viaggio, lo faccio senza scorta. In diverse occasioni, il governo, i gruppi ribelli o le Nazioni Unite si sono offerti di scortarmi. Ma io rifiuto. Due anni fa sono rimasto bloccato per 24 ore in una città del nord in mano ai ribelli. È finita bene.
In risposta al caos della sicurezza nel suo Paese, lei ha creato una “Piattaforma interreligiosa di pace” con il pastore protestante e l'imam di Bangui. Voi tre avete attraversato il Paese per disinnescare i conflitti. La piattaforma esiste ancora?
Certo che esiste ancora! Ma il nostro modo di lavorare è cambiato perché, con il ritorno della sicurezza, siamo più vicini alle nostre comunità. E l'intuizione della piattaforma si è sviluppata. Pastori, parroci e imam ora lavorano insieme nelle aree locali. Tuttavia, veniamo ancora chiamati quando la situazione va oltre. Per esempio, quattro mesi fa sono andato con il parroco e l'imam di Bangui a Yaloké perché alcuni giovani avevano vandalizzato una moschea e saccheggiato beni appartenenti a musulmani. Siamo rimasti lì per quattro giorni e siamo ripartiti quando la situazione si è calmata.
Attualmente a Roma, 368 membri del Sinodo con sensibilità molto diverse stanno discutendo sul futuro della Chiesa… Questa “Piattaforma per la pace interreligiosa” si fa sentire con quanto si sta svolgendo a Roma durante il Sinodo sulla sinodalità a cui lei partecipa?
Nella Repubblica Centrafricana, l'esperienza della piattaforma per la pace mi ha permesso di uscire dalla mia comunità, di andare a incontrare gli altri, di accoglierli, di ascoltarli e di lavorare con loro per trovare il modo di salvare delle vite. Anche al Sinodo, con la “conversazione nello Spirito”, ci viene chiesto di uscire da noi stessi, di ascoltare gli altri e di lavorare con loro per trovare strade per la Chiesa. Ho notato che la ricerca della pace avviene quando andiamo oltre noi stessi e non cerchiamo di imporre l'ultima parola. A Bangui, la cosa più importante era salvare vite umane. Qui, è l'unità della Chiesa intorno al Santo Padre che stiamo cercando. Tutti i membri del Sinodo vengono con i loro contesti particolari. Non dobbiamo trascurarli. Il nostro punto di partenza è la realtà. Ma non dobbiamo nemmeno esserne schiavi. Dobbiamo aprire gli occhi al contesto del nostro prossimo, che è anche nostro fratello. Con la Parola di Dio e l'Eucaristia che ci uniscono, andiamo avanti.
L'anno scorso il Sinodo è iniziato in un'atmosfera turbolenta. Pochi giorni prima dell'apertura della sessione, alcuni cardinali hanno espresso al Papa i loro dubbi su alcune questioni delicate. Quest'anno l'atmosfera all'interno dell'assemblea è più serena?
Sì, e questo perché abbiamo imparato a conoscerci. All'inizio di ottobre ci sono state delle belle riunioni. Nel mio gruppo linguistico c'è solo un nuovo arrivato rispetto all'anno scorso, un haitiano. È facile integrarlo! Certo, ci sono alcune questioni difficili, ma stiamo facendo progressi insieme, in un'atmosfera di rispetto e dignità.
Il fatto che il Papa abbia istituito a febbraio delle commissioni esterne per affrontare questioni delicate ha alleggerito il “carico mentale” dell'assemblea sinodale?
Senza dubbio, anche se continuiamo a dialogare con questi gruppi di lavoro. Questo ha permesso di chiamare degli specialisti per approfondire le questioni. In assemblea possiamo parlare con il cuore. Penso che sia una buona cosa andare ancora più a fondo negli argomenti, prendersi il tempo di guardare alla storia, all'antropologia, alla Bibbia, alla teologia e così via. Questi specialisti danno un contributo molto prezioso.
All'inizio della sessione di ottobre, il predicatore del Sinodo, il cardinale designato Timothy Radcliffe, è tornato sulla dichiarazione Fiducia supplicans, che ha autorizzato una certa forma di benedizione dei partener di una coppia dello stesso sesso. I vescovi di tutto il mondo, in particolare quelli africani, avevano preso le distanze dal testo. Ritiene che questa dichiarazione inaspettata abbia lasciato il segno?
Per rispondere a questa domanda, parlerò di un argomento che riguarda l'Africa: la poligamia. Quale risposta pastorale possiamo dare a un convertito che ha più mogli? Questo tema è attualmente oggetto di studio da parte di una commissione guidata dal cardinale Ambongo, arcivescovo di Kinshasa. All'inizio della sessione, egli ha presentato lo stato della riflessione a tutta l'assemblea, spiegando il nostro contesto specifico. Una volta che il lavoro della commissione sarà progredito, presenteremo gli elementi e le proposte pastorali al Santo Padre. Ci sarà quindi un tira e molla con Roma. Questo è senza dubbio ciò che mancava alla Fiducia supplicans. Inoltre, non si è tenuto sufficientemente conto della ricezione di questo testo in alcune regioni del mondo. In alcune società, questa dichiarazione non è applicabile nella sua forma attuale. C'è stato quindi un problema metodologico. Credo che tutti abbiano capito e non percepisco alcuna tensione. Continuiamo ad andare avanti, a dialogare e ad imparare.
Per quanto riguarda il posto e il ruolo delle donne nella Chiesa, alcuni vescovi ritengono opportuno, dato il loro contesto, orientarsi verso il diaconato femminile. Possiamo adattarci alle esigenze delle Chiese locali mantenendo l'unità della Chiesa? Come si può fare?
Questa domanda specifica si pone soprattutto in Europa. Credo che le Conferenze episcopali europee debbano innanzitutto prendersi il tempo necessario per riflettere sul tema e cercare di tracciare una via da seguire. Poi, questa riflessione dovrebbe essere presentata alle altre Chiese, in modo da avere un riscontro. Infine, spetta a Roma garantire l'unità. Nella Chiesa, non si può andare avanti da soli o generalizzare su un caso particolare se questo mette a rischio l'unità della Chiesa. Durante il Sinodo sull'Amazzonia, la questione dell'ordinazione dei “viri probati” (uomini sposati giudicati maturi, n.d.r.) ha fatto scalpore. C'è stato un confronto con Roma, che alla fine ha deciso di non andare oltre in questa direzione. In Africa le donne sono molto attive nella vita della Chiesa. Sono insoddisfatte?
Cosa c'è di speciale nell'Africa in questo Sinodo?
In Africa ci prendiamo il tempo di parlare delle cose e rispettiamo i nostri anziani. Avete mai sentito parlare dell'albero della conversazione? È il luogo in cui ci riuniamo come società e ci sfoghiamo per trovare soluzioni ai nostri problemi. Alla fine, quando tutti hanno parlato, il capo e i suoi consiglieri tornano per sistemare le cose. Abbiamo questa cultura.
Il cattolicesimo in Africa è in crescita e rappresenta una grande percentuale delle vocazioni di domani.
Tuttavia, alcuni ritengono che l'Africa non sia sufficientemente rappresentata nella Curia romana o nel Collegio cardinalizio. Il cattolicesimo africano soffre di una mancanza di rappresentanza?
Lo sentiamo dire anche noi e lo trasmettiamo. Naturalmente, non spetta a noi scegliere i cardinali o i prefetti! Il Papa ha sempre l'ultima parola. La Chiesa in Africa ha delle cose da dire e credo che oggi le dica con molta libertà (cath.ch/imedia/hl/rz/traduzione e adattamento catt.ch).
*Il libro autobiografico "La mia lotta per la pace" (Lev, 2022) è stato scritto con l'aiuto di Laurence Desjoyaux, giornalista del settimanale La Vie. Con la prefazione di Andrea Riccardi il libro racconta la storia di questo cardinale centrafricano nato in un quartiere povero di Bangassou nel 1967 da padre cattolico e madre protestante. Nel 2013, quando è scoppiata la guerra civile, è diventato la voce della pace, viaggiando con un imam e un pastore nei villaggi devastati dalla violenza comunitaria. HL/traduzione e adattamento catt.ch
I.MEDIA/cath.ch/traduzione e adattamento catt.ch
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