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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (29 giugno 2025)
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  • La copertina del volume in uscita per EMI

    Il libro sui trappisti di Tibhirine e altri martiri di Algeria

    "Se ci succedesse qualcosa vogliamo viverlo qui,  solidali con tutti gli algerini che hanno già pagato con la vita". Lo scriveva fratello Michel Fleury, monaco trappista di Tibhirine.  E non per un masochista desiderio di martirio, ma per coerenza con la propria scelta di fede e di vita. Fratel Michel morirà il 21 maggio 1996, nel monastero algerino,  con altri sei  confratelli massacrato dai fondamentalisti islamici. In 19 sono stati uccisi, negli anni Novanta,  fra religiosi e religiose e un vescovo. Questi martiri saranno beatificati l'8 dicembre 2018 a Orano, proprio  in terra algerina, per decisione di papa Francesco. La loro vicenda, in particolare quella dei monaci di Tibhirine,  è stata fatta conoscere più diffusamente dal film di "Uomini di Dio". Una vicenda di fedeltà e di umanità "integrale", da parte di questi "oscuri testimoni della speranza", come amavano definire loro stessi. Esce in questi giorni in libreria un volume con prefazione di padre Enzo Bianchi di Bose che porta alla scoperta delle storie e del cuore, come sede di giudizio e di sentimenti profondi, di questi Santi dell'epoca delle nuove persecuzioni.  "La nostra morte non ci appartiene.  La storia dei 19 martiri d'Algeria", è pubblicato dalla Editrice Missionaria Italiana. Il libro è stato scritto da padre Thomas Georgeon e dal giornalista  Christopher Henning. Si tratta di un testo di sicuro riferimento per conoscere le vicende biografiche e il messaggio spirituale dei futuri beati. Anche perché è firmato dal postulatore della causa di beatificazione,  padre Georgeon, anch'egli monaco trappista,  con un passato da brillante studente della Sorbona e di fotografo.

    Nel saggio ognuna delle 19 storie di santità

    Il saggio ricostruisce le scelte  di vita  di ogni religioso poi ucciso,  in un contesto storico - sociale come quello dell'Algeria degli anni Novanta,  quando il Paese era dilaniato delle stragi  del terrorismo islamista e della conseguente repressione dell'esercito: tra il 1992 e il 2001 sono morte oltre 150 mila persone. E tra loro queste 19 persone, suore, vescovi, monaci, sacerdoti. Tra il 1994 e il 1996 furono uccisi per strada, in  biblioteca,  nei quartieri popolari di Algeri,  nei campi, nel monastero. Nel libro è ben rievocato il clima di grande incertezza e di pericolo in crescente aumento, di cui i religiosi erano ben consapevoli,  senza negare quel che accadeva intorno a loro, la paura sempre presente,  ma insieme la consapevolezza che non potevano scappare, perché "la mia vita era donata a Dio e a questo paese", come ha scritto nel suo testamento spirituale fratel  Christian De Cherge', quando era pienamente cosciente del fatto che avrebbe potuto diventare,  molto presto, una nuova vittima del terrorismo. Il pensiero corre al monastero di Notre Dame d'Atlas, a Tibhrine, un'oasi di pace e di preghiere, tra alberi, giardini, orti, e sullo sfondo le montagne d'Algeria. Poi l'ombra della morte si è allungata sul monastero, dopo quel giorno tragico del 30 aprile 1996, quando furono trovate le povere spoglie dei sette monaci, decapitati.

    Un monastero che oggi è tornato a vivere

    Negli ultimi anni il monastero   è tornato a nuova vita. Vi ha abitato una coppia di sposi, poi ci ha vissuto padre Jean Marie Lassausse, della Mission de France, lavorando con quegli stessi contadini con cui lavoravano i sette monaci uccisi. E ci sono volontari, persone che vogliono ritirarsi in preghiera, o che vengono a onorare la memoria dei martiri. E sembra sempre più concreta la possibilità del ritorno di una comunità religiosa permanente.

    acistampa/red

     

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