di Cristina Uguccioni
Papa Francesco, durante il discorso pronunciato al termine del Sinodo dedicato alla sinodalità ha proposto versi di una poesia di Madeleine Delbrêl: «Facci vivere la nostra vita (…) come una festa senza fine dove il tuo incontro si rinnovella, come un ballo, come una danza, fra le braccia della tua grazia, nella musica che riempie l’universo di amore”. Questi versi possono diventare la musica di fondo di questa conversazione con Mauro Lepori, padre sinodale, abate generale dell’Ordine cistercense e vicepresidente dell’Unione Superiori Generali.
Come descriverebbe l’esperienza umana vissuta al sinodo?
«Sin dai primi giorni, quando noi partecipanti ci siamo ritrovati dopo l’esperienza dell’anno scorso, ci ha stupito l’amicizia che provavamo e vedevamo tra di noi: era un sentimento di comunione fraterna, una gioia di ritrovarci molto speciale. Questo clima è ciò che umanamente mi ha colpito di più: davvero la Chiesa è costituita da Dio per essere un luogo di rapporti che hanno come caratteristica un’amicizia più forte delle differenze, un luogo nel quale lo stare insieme è fonte di comunione profonda. Ciò che abbiamo vissuto è un avvenimento, donato dello Spirito, ed è questo che alimenta la mia speranza circa i frutti del sinodo, perché se noi abbiamo fatto questa esperienza di gratuità vuol dire che è un’esperienza per tutti, nella quale possiamo credere».
Perché è importante credere in quest’esperienza?
«Questa amicizia-comunione non l’abbiamo sperimentata perché siamo bravi, l’abbiamo riscoperta come natura della Chiesa, come dono dello Spirito, proprio come quando si scopre una sorgente: non siamo noi a produrre l’acqua, la riceviamo. Penso sia molto importante tornare ad amare la Chiesa, sentirla come luogo buono per l’umanità. Certo, la Chiesa è anche teatro di errori e mancanze, tanto che all’inizio del sinodo abbiamo celebrato un momento penitenziale. Ed è stato giusto. Ma questo non deve oscurare il fatto che la Chiesa è una famiglia, una rete di rapporti buoni, una comunità che fa bene alla vita delle persone, che esiste per annunciare la salvezza portata da Cristo e il Suo amore per ogni creatura. In questo senso l’amore per la Chiesa è amore per la sua missione, perché essa esiste per gli altri. Quando uno scopre un tesoro vuole condividere la sua scoperta: il nostro tesoro è Cristo, la comunione con Lui e la comunione di tutti in Lui. La sinodalità è missionaria, e la missione è sinodale: vuol dire che la sinodalità non è un metodo utile per stare meglio tra noi, è un modo di vivere, di annunciare, di camminare insieme dietro a Cristo, che «porta» Cristo alla famiglia umana».
Quali ritiene siano i punti cruciali del Documento finale?
«È un testo ricco, tuttavia non esprime tutto: quanto abbiamo vissuto è stato un avvenimento che ora chiede di irradiarsi non solo per mezzo del Documento ma soprattutto per mezzo della testimonianza che ciascun partecipante darà secondo la sua vocazione. E nel corso di tre anni coloro che hanno partecipato a vario titolo al sinodo sono stati moltissimi. Segnalo due aspetti del Documento relativi ai fondamenti della sinodalità. Anzitutto l’impostazione; il testo è scandito dagli episodi che narrano gli incontri con il Risorto. È questo che è in gioco: noi siamo mandati nel mondo perché gli uomini e le donne incontrino Cristo Risorto. Il secondo aspetto è l’insistenza sulla Chiesa come Popolo di Dio ma anche come Corpo di Cristo. Nel sinodo si è ripreso coscienza che se non si unisce l’ecclesiologia del Popolo di Dio e quella del Corpo di Cristo si corre il serio rischio di avere una concezione mondana e ideologica di Popolo, che dimentica che esso è assemblea convocata da Cristo: la Chiesa è il Popolo il cui centro è l’Eucaristia, la quale unisce tutti noi, membra del Suo Corpo, nella comunione. Questa è la natura intrinseca del mistero della Chiesa: così Cristo la vuole e lo Spirito Santo la modella».
Riscoprire la verità e la potenza di quanto afferma san Paolo sul Corpo di Cristo in cui ci sono molte membra, ciascuna delle quali è importante e bisognosa delle altre, da un lato aiuta a contrastare gli effetti distruttivi dell’individualismo autoreferenziale oggi imperante, dall’altro aiuta dunque la Chiesa a evitare logiche mondane.
«Proprio così. L’ecclesiologia paolina del Corpo di Cristo è indispensabile. Se si concepisce la Chiesa solo come Popolo c’è sempre il rischio di pensare che viva di funzioni intercambiabili, e che, sgomitando, si possa arrivare al posto che si ambisce, quello di comando: tutto si riduce a una grande competizione. Se invece pensiamo al Popolo della Chiesa come Corpo di Cristo composto da varie membra, ognuna delle quali è vitale e dipendente dalle altre, secondo la volontà di Dio, la competizione lascia il posto alla comunione. Nel Corpo che è la Chiesa c’è chi è mano, chi è occhio, chi è piede e così via. E ciascuno trova il felice compimento della sua vita vivendo la vocazione che Dio gli ha donato e in armonia con la vita e la vocazione delle altre membra. È molto importante capire ciò perché oggi è diffusa un’idea di Chiesa come spazio dove conquistare potere e non come luogo dove vivere la comunione, una comunione che ci rende felici e grati del fatto che ci siano membra diverse e complementari».
Cosa deve aspettarsi il mondo dal lungo processo sinodale?
«Durante il sinodo si è molto insistito sull’importanza di ascoltare l’assordante grido di sofferenza del mondo e il suo bisogno – spesso anche inespresso – di salvezza. Dice il Vangelo di Giovanni: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito (…) perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Forse il mondo non si rende conto di aspettare Cristo ma la Chiesa deve essere conscia del suo compito e il Papa in questi anni ci ha sempre sollecitato a non essere autoreferenziali ma a uscire incontro a tutti annunciando l’amore di Dio. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi», ha detto il Risorto ai discepoli. Di fronte alle tante grida di sofferenza che udiamo, noi cristiani non possiamo avere un atteggiamento rinunciatario, come se non potessimo far nulla, come se non ci fosse risposta. La risposta c’è, è Cristo e il suo infinito amore!».
Un centinaio di persone, il 15 dicembre, hanno fatto un percorso dal sagrato della chiesa di S. Rocco fino alla chiesa di S. Giorgio, dove si è potuto ammirare, in una grotta, la rappresentazione vivente della Natività.
Raccolti CHF 26'500 a sostegno delle persone in difficoltà in Ticino. I fondi saranno destinati a due realtà locali che incarnano i valori di solidarietà ed assistenza: alla Lega Cancro Ticino (in aiuto ai bambini) ed alla Fondazione Francesco (di fra Martino Dotta)
Oggi, mercoledì 18 dicembre, alle 20.30, padre Francesco Patton ofm, sarà in Ticino per un incontro dal titolo "Il coraggio della pace. Riflessioni su dialogo, riconciliazione e speranza (quando tutto sembra perduto)". Modera Andrea Fazioli