Skip to content
Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (16 luglio 2025)
CATT
  • La Zarri, controversa figura di donna cattolica

    Dopo una vita dalle posizioni teologiche non sempre in linea con le indicazioni della Chiesa, Adriana Zarri si ritirò a 56 anni in un eremo.  Una vita dai tratti originali e bizzarri, di cui qui, chi scrive vuole narrare storia e fatti senza alcuna agiografia.

    di Corinne Zaugg

    Un portone di legno che si socchiude su un giardino. Al centro un melo che in primavera si ricopre di fiori bianchi che sfiorano l’erba. Un po’ più in là, il laghetto coi germani reali, circondato dal piccolo canneto che di sera si riempie del gracidare delle rane. In mezzo: una panchina. È questo il piccolo mondo dove Adriana Zarri, la prima teologa italiana, ha trascorso in solitudine gli ultimi anni della sua vita. Nel 1975, aveva deciso di lasciare la comunità in cui viveva, per iniziare un’avventura in solitaria. Non una fuga dal mondo, avrebbe spiegato ai suoi amici, non un “ripiego” dopo anni di lotte in prima linea, che più volte l’avevano portata sull’orlo della scomunica per essersi schierata in quegli anni di contestazioni arroventate, contro la gerarchia ecclesiastica, in favore del divorzio e in maniera più sofferta, anche per l’aborto.

    Ma un altro modo di impegnarsi. Estremo ed essenziale, al contempo. Questi suoi ultimi trent’anni trascorsi in solitudine non hanno però coinciso con una sua assenza dallo scenario mondano. Dall’eremo, la voce di Adriana Zarri ha continuato a levarsi, forte e sonora. Anche lì dove non te l’aspettavi: dalle colonne del “Manifesto”, per esempio. Da dove settimanalmente ha tenuto la rubrica “Parabole”. E dagli schermi televisivi, dove per anni aveva una sua rubrica fissa all’interno della trasmissione di RAI3, “Samarcanda”. Non ha avuto paura, Adriana di avanzare in quelle che, trent’anni dopo papa Francesco avrebbe chiamato le “periferie esistenziali”.  Mai, ha avuto paura di sporcarsi le mani tra le pecore del mondo. Mai, per lei la religione ha rappresentato un muro per definire chi è “dentro” e chi è “fuori”. Anzi. A chi le chiedeva spiegazioni delle chiese che andavano svuotandosi, rispondeva: «Chiediamoci di chi erano piene queste chiese, una volta?». «Oggi, forse» diceva, «abbiamo le chiese vuote ma le strade piene di credenti, diversi da noi, ma credenti». Preferiva parlare di fede che di religione. Ha mischiato la sua voce con tante altre voci, per richiamare l’attenzione sull’essenziale. Su quel Vangelo che spesso avvertiva tradito e su Gesù, la cui carica trasgressiva e rivoluzionaria veniva, secondo lei, troppo addomesticata e non sufficientemente incarnata.

    Per questo, a 56 anni, quando molti già guardano alla pensione,  lei si buttò in questa nuova avventura alla ricerca dell’evangelica semplicità, nelle campagne piemontesi. Coltivò rose, allevò conigli, lavorò la terra. E le sue rose crebbero magnifiche, i suoi conigli le erano invidiati da tutti i contadini della zona e i frutti della sua terra le hanno permesso di sopravvivere sull’arco di tutti e dodici i mesi dell’anno. E non fu vita facile. Alle giornate arroventate dell’estate, facevano seguito mesi di nebbie e ghiaccio profondi. D’estate come d’inverno, le sue giornate erano scandite secondo uno stile di vita monastico che alternava la preghiera, alla meditazione, al lavoro manuale e fisico. Le ore notturne erano, invece, dedicate al lavoro di scrittura. Dalle dieci di sera alle tre di mattina si chinava sulla sua scrivania, il gatto sulle ginocchia e il fuoco nel camino.

    E scriveva. Non gli articoli, né sbrigava la numerosa corrispondenza che la teneva in contatto col mondo –questo lo faceva durante il giorno– ma i suoi libri. Tra questi “E’ più facile che un cammello” (Gribaudi 1990), “Il figlio perduto” (La piccola, 1991), l’autobiografico “Erba della mia erba” (Cittadella, 1999) e il romanzo “Vita e morte senza miracoli di Celestino VI”, (Diabasis, 2008),  in cui narra di un Papa dei nostri giorni che lascia il pontificato e si ritira in campagna per tornare a fare la vita di semplice prete. Visionaria, profetessa, eretica, mistica: per tutta la sua vita, per lei, si sono sprecati gli aggettivi. Invisa a molti, soprattutto cattolici, per il suo voler “rispondere solo a se stessa” e la conseguente indomita libertà di pensiero, nel corso della sua lunga vita che si è conclusa a novantun anni, la notte tra il 18 e il 19 novembre del 2010, Adriana Zarri ha viaggiato in anticipo sui tempi. E credo di poter dire, che oggi, sarebbe contenta del Papa che abbiamo.

    News correlate