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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (11 giugno 2025)
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  • Il gesuita Paolo Dall'Oglio, scomparso a Raqqa in Siria nel 2013 COMMENTO

    Medio Oriente: ma non sarebbe solo un morto tra tanti altri?

    di Cristina Vonzun

    La notizia del 3 giugno scorso, ripresa dalle agenzie di stampa - di cui ora sembra essere giunta una smentita qualificata dall’organizzazione Syria Justice and Accountability Centre, ONG  che si occupa di rintracciare le persone sparite durante il conflitto siriano (130 mila dice l’ONU) -  annunciava invece il ritrovamento in Siria, nei pressi di Raqqa, in una fossa comune, del cadavere di un uomo in abiti religiosi, supponendo fosse il gesuita Paolo Dall’Oglio. Quella che ora viene definita una falsa notizia, ha riacceso le luci sulla vicenda del religioso italiano, impegnato nel dialogo, fondatore di un avamposto culturale, spirituale e umanitario in Siria: il monastero di Mar Musa. Dall’Oglio è sparito il 29 luglio 2013  a Raqqa, cittadina del Nord del Paese, all’epoca occupata dallo Stato Islamico. Vi si era recato con coraggio, spinto dal desiderio di mediare la liberazione di alcuni ostaggi. Viviamo  mesi (anzi anni) nei quali non si fa che vedere in televisione  un Medio Oriente di morti ammazzati, di bambini bombardati, di gente che fa la fame o viene rapita, in cui la danza tra false e  vere notizie è quotidiana e il rischio è sempre e solo di aggiungere un morto alla lista. Tra le notizie purtroppo vere c’è quella della famiglia della  pediatra  palestinese Alaa alla quale sono stati ammazzati in un colpo solo, nove dei suoi dieci figli e il marito, anch’egli medico, mentre il decimo figlio, Adam, gravemente ustionato, sarà trasportato in Italia per delle cure «disperate». Davanti a questa impietosa realtà che si chiama Medio Oriente, un morto e un vivo sembrano ormai solo i numeri di una contabilità provvisoria dell’orrore, dove viene anche uccisa la speranza.  Ma se non ci fossero padre Paolo, i martiri di Tibhirine in Algeria anni prima, il parroco di Gaza e con lui tanti altri, donne e uomini, medici, volontari, persone semplici, cristiani, musulmani ed ebrei che continuano ogni giorno a battersi con i loro umili e rischiosi «sì» alla vita che sono «sì» alla pace e quindi ad un futuro, che pronunciano anche per noi europei e svizzeri immobili per non dire mummificati davanti a questi scenari bellici, che speranza ci sarebbe? Non ci resterebbe che dar conto di una violenza infinita, senz’anima. La loro vita dà un’anima, immette un soffio di bontà in questo scenario, spezza in modo virtuoso il circolo di un male per il male, disperato, bestiale e non umano. La banalità del male, come scrive Hannah Arendt, non è anche l’arrendersi rassegnati ad essere bestie (o bruti)? Loro salvano la nostra umanità ricordandoci  - con la loro vita e con la loro morte - che l’umanità non è quella dei bruti;  siamo fatti per qualcosa di grande, fosse anche e solo affermare la vita cercando del cibo per i propri figli a rischio della propria esistenza.

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