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  • Trattenere i giovani nella Chiesa? Una riflessione per i catechisti
    COMMENTO

    Trattenere i giovani nella Chiesa? Una riflessione per i catechisti

    di don Emanuele Di Marco*

    Tra le domande che spesso sorgono all’interno del panorama pastorale contemporaneo emerge con insistenza, soprattutto tra le generazioni di genitori e nonni che frequentano la comunità cristiana, l’insistente domanda: come trattenere i giovani nella Chiesa? L’impressione ormai consolidata è un dato oggettivo: terminato il percorso di preparazione ai sacramenti, molti ragazzi e giovani lasciano quel debole filo che li vedeva impegnati negli spazi ecclesiali. Chierichetti, gruppi giovani, post-cresima… le iniziative e le proposte non mancano. Tuttavia pare che spesso siano proprio inefficaci e non incidano in modo significativo sul cammino di vita dei giovani.

    In queste poche righe, quasi a lanciare un campo di riflessione, vale però la pena di affrontare alcuni limiti della prassi ecclesiale contemporanea.

    1. Non solo sacramenti: l’attuale modello prevede la preparazione ad una celebrazione (confessione, comunione, cresima…) con un evidente limite metodologico. Un catechismo basato solo sull’ottenimento del sacramento lascia da parte contenuti ed esperienze che sono parte integrante della fede cristiana. Il rischio di ridurre la vita cristiana solo ai sacramenti è estremamente insidioso. Non solo: sul piano pedagogico, si insegna ai ragazzi che l’obiettivo del tempo investito è proprio arrivare a quella mèta. Non stupisce che poi, raggiunto il traguardo, i giovani si distanzino dall’esperienza cristiana. Se poi pensiamo ai gruppi “post-cresima”, ci si rende conto che tutto è ancora incentrato sul sacramento. Quel prefisso “post-“, infondo, non lascia intendere… una tappa di maturazione successiva!

    2. È assente, spesso, una dimensione conoscitiva e conseguentemente dialogica di Gesù. Un conto è conoscere Gesù come bimbo di 7 anni. Un conto è averci a che fare come adolescente.

    Ovvero: come permettere al Gesù conosciuto da piccolo di divenire grande con il giovane?

    La fede deve diventare matura e impegnativa anche per i ragazzi, non può essere relegata ad un’esperienza infantile.

    3. La Chiesa non è fatta di soli riti e liturgie: gli ambiti della carità e dell’evangelizzazione devono crescere insieme a quello dell’orazione e della liturgia. Il linguaggio comune ci ricorda che un cristiano vive la fede se… “va in chiesa”, “è praticante”, “attivo in parrocchia…”.

    Ecco il punto: essere cristiani. Non fare i cristiani.

    I giovani di oggi sono assetati di verità e la Chiesa ha la grande opportunità di una generazione distratta ma non per questo meno propensa ai discorsi veri.

    Forse, proprio attingendo al Vangelo, si può dare una chiave di lettura al fenomeno attuale: i giovani non vanno trattenuti, ma attesi.

    Come nel Vangelo del Figliol prodigo (meglio: del Padre misericordioso, Lc 15, 11-32). I ragazzi ci chiedono di dare loro parte delle nostre “sostanze”. Non tanto materiali, in questa riflessione, piuttosto i… “valori”. E poi… è vero, a volte vanno lontano. Tanto lontano. E si mettono nei pasticci, dai quali, noi educatori, avremmo voluto scamparli. Ma ciò che fa la differenza, a questi giovani che si sono allontanati, sarà l’accoglienza del ritorno. La Chiesa ha la grande opportunità di tenere sempre pronta la festa con la musica per il loro ritorno. Deve tenere pronto l’anello da rimettere al dito. Una Chiesa pronta a correre incontro alle generazioni che anche se si sono allontanate tanto… sono disposte a tornare. Magari stanche e ferite. Una Chiesa viva e attenta quindi non solo evita di “trattenere”… piuttosto vuole “vivere” con i giovani. È una Chiesa che sa stare con il figlio maggiore, rimasto nel gremio, ma anche che sa accogliere i tanti che sono usciti. Chi fa la differenza sarà proprio l’atteggiamento paterno della Chiesa. Una Chiesa dalle porte aperte, come desidera Papa Francesco, si assume anche il rischio che dalle porte aperte qualcuno “scappi fuori”. Ma nella stessa libertà che lo ha fatto uscire, possa anche rientrare.

    *Editoriale apparso nel nuovo numero della Newsletter dell’Ufficio istruzione religiosa scolastica (UIRS)


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