Non si tratta di un pensiero passeggero, che si trasforma in titolo. È piuttosto una convinzione, maturata nel tempo, e che ora va a toccare quel qualcosa di importante del cammino ecumenico in corso, che non può essere negato, né taciuto. Lo stesso è quando si inizia a riflettere su un percorso sinodale o un vissuto ecclesiale, diventati entrambi a tratti sinuosi, sempre più non condivisi, perché avvolti dalle nebbie della non trasparenza.
Se c’è tanta stanchezza nell’aria, non è solo una sensazione superficiale di pochi o di molti, bensì qualcosa che ha molto a che fare con i primi passi di un atto di fiducia, compiuto con sospiri di sollievo in tempi non sospetti di inutilità. Ora il desidero è quello di vedere compiersi un ultimo passo, finalmente di risoluzione, di arrivo certo al capolinea del non senso per tutti, di conclusione misericordiosa del cammino esperienziale sin qui fatto. Il resto sono solo parole, più o meno opportune; tuttavia, parole senza generatività, senza futuro, a tratti svuotate di intelligenza e ridotte a moti di pancia e di lingua di alcuni. È una situazione che esprime soltanto emozioni soggettive, non certo passioni oggettive e condivise di armonia e di comunione ritrovata.
Come l’inizio non era nei pensieri e nei programmi di nessuno, così la fine desiderata non può essere imbastita a vantaggio degli interessi di alcuni, quindi a discapito di tutti gli altri. Tantomeno pensare di farla franca, puntando sulla divisione più che sulla verità dell’unione, dando per scontato di intascare a breve il risultato di giochi imbastiti ad arte, alle spalle della buona fede degli ultimi rimasti. Senza più un senso di Vangelo, ogni atto per facilitare conclusioni raccomandate è il segno che tutto si muove non più in sintonia con la volontà dello Spirito santo.
In un processo delicatissimo quale è sempre quello del riavvicinamento tra loro delle persone, dei vissuti di fede di ciascuno, della volontà di convergere insieme sul valore irrinunciabile della unità, certe persone, più che il proprio talento, mettono in gioco la loro tenacia di occupare abusivamente la volontà di Colui che guida gli eventi di tutti; una tenacia che si trasforma in arroganza, fino a raggiungere livelli sorprendenti di ridicolo e di divisione. In certi contesti storico-culturali a volte ritorna la tentazione di pavoneggiare e ostentare forme di presenza legate al passato, o passaggi ecclesiali di dubbio sapore evangelico, se non quello che certe cose si fanno con la mano destra senza sapere che cosa stia facendo l’altra mano.
Come è nella ferialità di tutti i giorni, la vita di una persona – lo stesso si può dire della vita di una comunità cristiana – si va coagulando in tutte le sue dimensioni, di positività e, purtroppo, anche di negatività. Per quanto uno si arrabatti ai tavoli dei suoi compagni di merenda, non è lecito e onesto affermare e fare credere ai piccoli e ai semplici il contrario di quello che Dio chiede ai suoi amici, perché nel principio e nella fine di ogni cosa vive e risorge sempre la verità.
Benché un cambio d’epoca possa sempre suscitare uno certo livello di smarrimento, più che naturale e comprensibile, ritrovarsi con fede pura dentro la bellezza della volontà di Dio tutto si apre al fascino di una nuova opportunità di liberazione dai nostri limiti, personali e comunitari, e di crescita secondo i doni di fecondità e di generatività che già possediamo interiormente, abitati così come siamo dallo Spirito del Risorto.
Se nei pensieri e nelle azioni di Dio il primato è quello attribuito al valore sacro delle singole persone, non generica e frammentata a seconda delle scelte compiute dalle singole persone, proprio in ogni singolo vissuto ecclesiale il pensiero e le scelte di tutti e di ciascuno sono da vivere a misura di fede, dentro il processo pasquale e rigenerativo del Risorto, della sua totalità di vita oltre la morte, di amore oltre ogni forma di odio, di bene oltre la morsa del male.
A volte, quando ci fermiamo un istante per contemplare l’orizzonte di cristianesimo in cui ci siamo venuti a trovare, rimane qualcosa nascosto nel cuore dei veri amici di Dio, fosse solo quella domanda che più di tutte le altre mantiene e difende il suo forte legame con la ricerca del senso ultimo di tutto. Una domanda che potrebbe suonare così: che sia allora questo il tempo per un “Totaliter aliter”?
Forse sì, proprio sì, davvero sì, perché suo malgrado ogni fine cede sempre il passo a un nuovo inizio, quello che più di tutti gli altri finalmente ha a che fare con “la volontà di Dio”.
don Sergio Carettoni
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