di Silvia Guggiari
Il prof. Massimo Faggioli.Martedì 5 novembre gli Stati Uniti d’America hanno scelto il loro 47esimo presidente. Il candidato repubblicano, Donald Trump, ha vinto le elezioni, sconfiggendo la candidata democratica Kamala Harris. Ma da che parte si è schierato l’elettorato cattolico? Abbiamo posto questa ed altre domande al professor Massimo Faggioli, docente di Teologia e Studi religiosi alla Villanova University in Pennsylvania (USA).
Prof. Faggioli, perché l’America ha scelto di fidarsi ancora di Donald Trump?
I motivi sono tanti, tra i più importanti vi è sicuramente quello della politica spettacolo da sempre realizzata da Trump, e il fatto che negli ultimi anni sia sopravvissuto a ciò per cui poteva non sopravvivere, ovvero agli scandali, alle condanne penali e criminali, ma anche al tentativo di colpo di Stato di quattro anni fa. Il risultato elettorale che abbiamo visto è quindi dovuto a un misto di malcontento economico, con l’inflazione che è ancora alta nella percezione delle persone, a un messaggio populistico che rientra nel carattere dei nostri tempi, e poi alla mancanza di visione di alternativa da parte del partito democratico di andare oltre l’idea di un collage di varie identità etniche, di genere e culturali che magicamente stanno bene tutte insieme. Una illusione, questa, che Joe Biden era riuscito a tenere insieme, ma che Kamala Harris, anche per il modo in cui si è candidata non è riuscita. L’aspetto più scioccante è che da più di dieci anni Donald Trump è in possesso del partito repubblicano, ne ha cambiato l’anima e la natura e ha cambiato l’agenda nazionale su questioni fondamentali come l’immigrazione e il modello liberale di scambi economici senza frontiere.
Perché i sondaggi hanno mostrato fino all’ultimo grande indecisione tra il popolo americano?
C’è sicuramente stata un cattiva interpretazione dell’elettorato che ha votato Trump. Il sistema informativo, i grandi giornali e le tv hanno guardato erroneamente al popolo americano secondo una prospettiva della diversità come un valore di sinistra. I dati sono stati interpretati in un modo per cui per esempio essere non bianchi voleva dire automaticamente votare per i democratici, cosa che non è successa. Ci sono molti immigrati, latinos e afro americani che hanno votato per i repubblicani, ma questo non rientrava nell’ideologia del partito e quindi anche le analisi del voto hanno risentito di questa miopia sulla realtà per cui essere latinos o essere afro americano non vuole dire che non ti piaccia Trump, nonostante tutto quello che lui ha detto sugli immigrati.
È stato dunque un risultato inaspettato anche per voi?
È stata inaspettata la misura della vittoria. Ha sorpreso il fatto che abbia vinto in modo netto in certi Stati che erano in bilico, ma non sono stato sorpreso dal risultato. Ho iniziato a pensare che la Harris avrebbe perso quando ha cominciato a puntare sull’endorsement di cantanti come Bruce Springsteen e Taylor Swift, convinta che conquistando gli artisti avrebbe automaticamente conquistato i voti dei loro fans. Inoltre, con i miei studenti del corso su cattolici e politica degli Stati Uniti abbiamo proprio visto come la Harris non parlava a certe componenti del Paese come i cattolici. Ha evitato di parlarci, li ha ignorati e questo secondo me è una delle cose che ha pagato.
Sul volo Singapore-Roma, papa Francesco aveva definito entrambi i candidati “contro la vita”, esortando gli elettori a votare “il meno peggio”. Come si sono schierati i cattolici americani? Perché?
I sondaggi realizzati dagli istituti specializzati dicono che quest’anno i cattolici hanno votato per Trump molto più di prima e questo è successo perché Trump e il suo vice Vance, che è cattolico, hanno fatto una campagna dove hanno cercato il voto dei cattolici in modo scientifico, cosa che la Harris non ha fatto. Inoltre, i repubblicani hanno a loro modo usato le parole del Papa – “chi è meno peggio” – rafforzando l’idea che l’altra candidata era peggio di loro. Non hanno mai detto “noi siamo buoni cristiani”, ma hanno semplicemente detto “l’altra è peggio” su alcune questioni radicali come quella dell’aborto. È stata una mossa che ha avuto effetto perché a giudicare dagli appelli elettorali emergeva un partito che si preoccupava di convincere un certo elettorato e un altro che li ha considerati come una minoranza da ignorare.
La mossa vincente di Trump è stata dunque quella di parlare ai suoi elettori…
Donald Trump.Il trumpismo non è solo un candidato all’interno di un partito, è un movimento culturale e politico che ha una sua forza unificante nel Paese e ha delle caratteristiche religiose. È un culto della personalità che ha trovato un accomodamento con chi va in chiesa. Per fare un esempio, Donald Trump sui social media ricordava l’importanza della preghiera a San Michele Arcangelo contro i comunisti. Invece l’altra campagna elettorale ha ignorato la questione religiosa come ha ignorato la questione israelo-palestinese e questa è stata una differenza molto visibile all’elettorato.
Per la seconda volta nella storia americana, la candidata democratica donna ha incassato una sconfitta alle presidenziali. Secondo lei ha inciso anche il fattore di genere?
Kamala Harris.Questo caso è stato diverso da quello di Hilary Clinton nel 2016 perché la Harris è una candidata che non ha avuto il tempo di prepararsi in modo adeguato e di farsi conoscere. È comunque un segnale particolarmente scoraggiante per le donne afro-americane che si aggiunge alla percezione negativa che Trump ha delle donne: con la sua vittoria è come se abbia voluto rimettere non solo le donne ma anche le persone di colore al proprio posto.
Kamala Harris è diventata candidata dalla sera alla mattina e questo credo che peserà anche sul giudizio storico della presidenza Biden che non ha preparato una transizione di cui di fatto non parlava nessuno perché Donald Trump ha dominato il dibattito politico sempre, dal 2015 in poi. Biden che era al potere non aveva pensato alla necessità di una transizione generazionale perché l’impegno era battere Trump. La Harris ha dunque avuto una preparazione insufficiente in primo luogo perché non è passata attraverso le primarie e quindi non è mai stata scelta dal suo partito e questo l’ha indebolita.
La conferenza Episcopale americana, congratulandosi con Trump, ha esortato la nuova presidenza a rispettare sempre la tutela della vita umana. Qual è il peso dei vescovi e in che modo possono relazionarsi con il presidente in questioni delicate come quella dei migranti?
La presidenza della Conferenza è affidata all’arcivescovo Timothy Broglio, un vescovo di simpatie conservatrici, ex ordinario militare: non so cosa ci sia da aspettarsi dai vertici della conferenza, ma stupirebbe vedere che diventa portavoce dell’opposizione. La Conferenza in quanto tale è da anni paralizzata: basta pensare che è formata da più di 400 vescovi e quindi è ingovernabile ed è spaccata in anime diverse. La migrazione è la questione numero uno, ma io credo che una Conferenza episcopale come quella degli Stati Uniti debba dire qualcosa su tante altre questioni, come ad esempio quella democratica o quella dell’aborto, ma fino ad ora ha adottato una linea di cautela. Trump è stato bravo ad interpretare i desideri dell’elettorato cattolico, ma non dimentichiamo che ha un alleato fortissimo in Elon Musk, il vero secondo vincitore di queste elezioni che ha una visione della persona distante anni luce dalla visione cattolica. Io mi aspetto molta cautela, ma oggi in America è possibile quasi tutto.
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