da Roma Cristina Vonzun
È l’Anno Santo e a Roma si capisce. «Ma la vede quanta gente c’è?» mi dice il taxista che ci porta nel caotico traffico romano verso piazza San Pietro. Le strade pullulano di pellegrini, volti diversi, età differenti, anche tanti giovani. Le strutture di accoglienza sono piene. Ogni tanto si ci si imbatte in capannelli più o meno spontanei di gente che prega e canta, non solo vicino alle basiliche giubilari, ma anche nelle hall e nei cortili degli hotel. Sono tanti anche i volontari da tutto il mondo arrivati a Roma per trascorrere un periodo di servizio per accompagnare e accogliere i pellegrini. In questo vero e proprio «mondo nel mondo», per quattro giorni ci sono stati anche 150 ticinesi accompagnati da mons. de Raemy e una dozzina di preti. «È una esperienza di spontanea condivisione, di fiducia tra noi e nel fatto di essere in cammino, un’occasione per vivere un’esperienza di fede e di bellezza», questa è una prima battuta che ci lascia il vescovo Alain.
Mons. Alain, come avete vissuto l’attraversamento della Porta Santa?
È stato un gesto molto ben preparato. Si comincia in via della Conciliazione accanto al Tevere e poi, piano piano, ci si avvicina alla Basilica in pellegrinaggio, si prega, si ascolta la Parola di Dio. Arrivati alla Porta Santa della Basilica di San Pietro vi si sosta davanti in silenzio. Poi si attraversa la Porta Santa, ognuno lo fa portando nel cuore le proprie preghiere e preoccupazioni. Noi pellegrini ticinesi abbiamo seguito sei rappresentanti dei sei vicariati della Diocesi. È stato un momento molto intenso. Dopo, entrati in Basilica, si prosegue fino all’altare della confessione, vicino alla tomba di San Pietro. Li si professa insieme la fede. E così abbiamo fatto.
La tomba di Pietro, il luogo del martirio di Paolo, le catacombe. Sono tanti i segni a Roma del cristianesimo dei primi secoli. Che messaggio trasmettono questi luoghi?
Dicono che quello che la maggioranza della gente ha sentito al catechismo corrisponde ad una realtà di millenni, un passato che oggi si sperimenta ancora. Un’esperienza di storia viva.
C’era attesa per l’udienza con il Papa, ma il Pontefice è convalescente e non prende impegni pubblici se non sporadicamente e a sorpresa. Cosa ha voluto dire vivere il pellegrinaggio giubilare a Roma senza incontrare il Papa?
Certamente avevamo organizzato tutto il soggiorno attorno al mercoledì, giorno dell’udienza generale per potervi partecipare, ma devo dire che i pellegrini hanno capito la situazione e tutti pregano e hanno pregato per il Papa. Abbiamo vissuto un intenso momento di grazia, con una preghiera in più nel cuore: quella per papa Francesco.
La Cattedra di Pietro che diventa Cattedra della sofferenza, che riflessione le suscita?
Il messaggio che la malattia non è un freno alla vita cristiana ma al contrario, una vocazione va avanti anche quando le condizioni di vita cambiano. Se la salute non funziona più come dovrebbe, l’anima funziona.
Cosa portate a casa da questo pellegrinaggio?
Portiamo con noi il bisogno di rinnovamento della Chiesa in Europa ed anche in Ticino, una sfida della fede che pur nelle differenze tra noi sentiamo tutti di condividere.
Volti sorridenti, gioia nel cuore per la consapevolezza di aver vissuto preziosi momenti di condivisione, amicizia e spiritualità. Potrebbe essere questa la sintesi di quello che abbiamo colto tra i pellegrini ticinesi. Insieme anche alle piccole e grandi storie personali che confluiscono nel grande gruppo di 150 persone che dal Ticino è venuto a Roma. Storie anche di dolore e precarietà, come mi sussurra una pellegrina che sta sperimentando un inatteso momento di fragilità che ha reso questo pellegrinaggio diverso da come lo aveva previsto, quando si è iscritta, mesi fa. Pochi passi dopo incontro Andrea Simona di Lugano. «Sono stata altre volte a Roma ma in questo pellegrinaggio l'organizzazione ha messo a disposizione delle guide molto preparate che ci hanno fatto conoscere meglio la storia della Roma cristiana. Quando ho attraversato la Porta Santa e poi mi sono confessata, ho provato una sensazione di liberazione interiore, come se avessi lasciato alle spalle i pesi del passato per riacquisire una pace spirituale».
«È bellissimo ed emozionante essere pellegrini di speranza qui a Roma», confida Pierangela Algisi di Bellinzona. «Quando ho attraversato la Porta Santa di San Pietro ho avvertito un’emozione profonda, mi è sembrato di ricevere il dono di un rinnovamento interiore. Tutto il pellegrinaggio è una rinascita spirituale». Un gesto, quello del passaggio della Porta Santa, al quale «siamo arrivati molto preparati grazie al vescovo che ha dedicato gli incontri vicariali dei Quaresimali alla simbologia della Porta Santa di San Pietro», ci tiene a precisare Maria Vittoria Cherchi di Bellinzona. «Anche per me è stato emozionante vivere tutti questi momenti», aggiunge Lucia Leoni. «È stata anche un'occasione per incontrare tanti altri pellegrini, per riconciliarci e vivere un bel momento di comunione nella Chiesa». Commosso il ricordo dedicato dai ticinesi, in particolare durante la Messa in San Paolo fuori le mura, a don Graziano Bassi, il diacono permanente della Diocesi di Lugano che è recentemente scomparso. Il pellegrinaggio si è concluso giovedì 10 aprile con il passaggio della Porta Santa della Basilica di Santa Maria Maggiore e la Messa davanti alla Salus populi romani, la venerata icona mariana che si trova nella cappella Paolina della Basilica.
Sabato a Strada Regina su La1 alle 18.35 e domenica a Chiese in diretta su Rete Uno alle 8.30, interviste e servizi dal pellegrinaggio a Roma.
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