Calendario romano
di Dante Balbo*
Mi è capitato un incidente fastidioso, più umiliante che dannoso: sono rotolato per una scala, pregiudicando in parte la possibilità di scrivere. Una cosa di poco conto, ma che avrebbe potuto gettarmi nello sconforto, perché frequentare l’università senza prendere appunti, stanti le mie difficoltà di accesso al materiale didattico, diventa complesso. Ho trovato altri strumenti, per supplire al mio piccolo problema, ma cruciale è stato il mio atteggiamento. Molto più in grande, ma con lo stesso carattere, si muove l’incontro con la IV domenica di Quaresima. Si chiama domenica Laetare, cioè della gioia. C’è poco da stare allegri, basta guardarsi intorno, aprire un notiziario online, accendere la TV e le tragedie si sprecano, dalla cronaca locale, al caos internazionale, dai governi allo sbando, alle ingiustizie sempre più macroscopiche sulla pelle dei più deboli.
Il Vangelo di questa domenica ci racconta di un figlio che sceglie la sua strada e riesce a perdersi quasi del tutto. Quando tocca il fondo, si guarda dentro e soprattutto ricorda che un tempo aveva un posto e lì si stava meglio. Torna trepidante e spera di essere accolto almeno come un garzone. Ad attenderlo c’è invece un padre che non ha mai smesso di aspettarlo, di amarlo, di sperare. La nostra sete di giustizia si risveglia e rimaniamo perplessi di fronte ad un genitore che si butta alle spalle tutte le malefatte del figlio: non solo lo accoglie, lo riveste, ma gli dà l’anello con il sigillo, cioè il timbro per firmare documenti a suo nome. Siamo davanti ad una scelta: giudicare il mondo e gli altri, oppure aprirci alla compassione, ricordando che Qualcuno ci ha amati per primo. Lui non smette di amarci, ha un progetto su di noi, l’idea di farci tornare a casa, il sogno di darci un cuore nuovo, il potere di cambiare il mondo, se da lui ci lasciamo trasformare. Il Padre è sulla torre a scrutare la strada per vederci tornare e correrci incontro, per ridarci la gioia. Questa è la speranza, ma per accoglierla dobbiamo abbandonare il giudizio. *Dalla rubrica televisiva Il Respiro spirituale
Calendario ambrosiano
di don Giuseppe Grampa
Scarsa l’attenzione che l’evangelista riserva all’apertura degli occhi, alla guarigione del cieco, appena due delle 41 righe che compongono il testo. E invece con grande ampiezza l’evangelista racconta l’apertura, nell’uomo guarito, di un altro sguardo, una diversa capacità di vedere. Non è grazie agli occhi riaperti alla luce che il cieco guarito arriva a riconoscere nel suo guaritore Gesù, il Signore. Lo riconoscerà attraverso un percorso che è la fede. Del suo guaritore il cieco guarito conosce solo il nome, poi lo riconosce profeta, più avanti ammette che se costui non fosse da Dio, non avesse cioè una particolare relazione con Dio, non avrebbe potuto guarirlo. In seguito dice che è l’Inviato, il Messia, il Figlio dell’uomo fino a giungere al punto culminante quando, gettandosi ai piedi di Gesù, lo riconosce «Signore». Inoltre, il cieco che non ha nome, ci rappresenta. Noi, figli di una cultura che ha nella luce della ragione il suo cardine, figli dell’Illuminismo, siamo invece persuasi di avere buoni occhi capaci di penetrare nella complessa struttura della realtà. Ma se non riconosciamo Gesù come nostro Signore, come la luce e quindi senso ultimo della nostra esistenza siamo nell’oscurità. Questa è la nostra condizione. Infine, la pagina evangelica ha una conclusione purtroppo omessa dalla lettura liturgica. Accanto al cieco che ha ritrovato la luce vi è un gruppo di Farisei che, pur avendo buoni occhi, sono ciechi. Sono infatti presuntuosamente persuasi di veder bene, e di non aver bisogno di altra luce. Guardiamoci da questa presunzione e ricordiamo la parola di Pascal, scienziato e credente: «L’ultimo passo della ragione è quello di riconoscere che vi è una infinità di cose che la superano» (Pensieri n.267). Oppure facciamo nostra la parola del Salmo tanto cara al cardinale Martini da volerla incisa sulla pietra del suo sepolcro: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 118,105).
Dopo la scomparsa del fondatore, Silvia Scalisi racconta i progetti della Fondazione.
Domani alle 18.30 alla Biblioteca Salita dei Frati di Lugano, la presentazione del progetto co-diretto dalla prof.ssa ticinese, insegnante a Monaco, Daria Pezzoli-Olgiati, e con la partecipazione del ricercatore Baldassare Scolari, «Grenzgänge. Religion und die Alpen».
La presa di posizione dell'associazione, che si è occupata di adozioni internazionali dagli anni '60 fino al 2010, sollecita il Consiglio federale a ritornare sulla sua decisione, presa lo scorso 29 gennaio.