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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (29 maggio 2025)
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  • Leone XIV all'udienza generale in piazza San Pietro

    Il Papa: la compassione è questione di umanità, aiutare l’altro vuol dire coinvolgersi, sporcarsi

    “Cambiare prospettiva” e aprirsi “alla speranza”: questo bisogna imparare dalle parabole. Perché spesso “ci fissiamo su un certo modo rigido e chiuso di vedere le cose” e accade che ci manca la speranza. Invece, “le parabole ci aiutano” a guardare tutto “da un altro punto di vista”. Leone XIV lo spiega nella sua seconda udienza generale, dopo aver percorso in lungo e in largo piazza San Pietro su una jeep bianca, per salutare i numerosi pellegrini e fedeli che lo hanno accolto con applausi, canti e gioiose grida, sventolando variopinti foulard, cappellini e striscioni.

    Un vero e proprio bagno di folla per il Papa, che ricambia sorrisi e saluti, fermandosi di tanto in tanto per benedire bambini e neonati. Poi giunto sul sagrato della basilica vaticana, prosegue la serie di catechesi dedicate alle parabole, nell’ambito del capitolo su “La vita di Gesù” del ciclo giubilare “Gesù Cristo Nostra Speranza”, e si sofferma sulla parabola del samaritano, dove emerge la compassione, l’amorevole cura verso gli altri, l’attenzione per il prossimo, che si esprimono, sottolinea più volte, “attraverso gesti concreti”.

    Davanti all’altro

    Due le prospettive che il Pontefice offre analizzando il racconto evangelico. C’è un uomo che intraprende una strada, da Gerusalemme a Gerico, lungo la quale “viene assalito, bastonato, derubato e lasciato mezzo morto”. Come non pensare alla vita, “una strada difficile e impervia”, e a all’“esperienza che capita quando le situazioni, le persone, a volte persino quelli di cui ci siamo fidati, ci tolgono tutto” e ci abbandonano?

    La vita però è fatta di incontri, e in questi incontri veniamo fuori per quello che siamo. Ci troviamo davanti all’altro, davanti alla sua fragilità e alla sua debolezza e possiamo decidere cosa fare: prendercene cura o fare finta di niente.

    Questione di umanità

    C’è, dunque, chi si imbatte nell’uomo lasciato “in mezzo alla strada”. Gesù descrive “un sacerdote e un levita” che passano oltre. “Sono persone che prestano servizio nel Tempio di Gerusalemme”, ma il loro atteggiamento dimostra che “la pratica del culto non porta automaticamente ad essere compassionevoli”, osserva Leone XIV.

    Prima che una questione religiosa, la compassione è una questione di umanità! Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani.

    Fermarsi per gli altri

    Ma spesso le nostre vite frenetiche non ci permettono di essere compassionevoli, riteniamo di dover dare spazio anzitutto alle nostre occupazioni.

    È proprio la fretta, così presente nella nostra vita, che molte volte ci impedisce di provare compassione. Chi pensa che il proprio viaggio debba avere la priorità, non è disposto a fermarsi per l’altro.

    Gesti concreti

    La parabola riportata dall’evangelista Luca evidenzia che qualcuno si ferma di fronte a quell’uomo ferito e moribondo, “è un samaritano, uno quindi che appartiene a un popolo disprezzato” e Leone XIV rimarca che “la religiosità qui non c’entra”, questo tale, infatti “si ferma semplicemente perché è un uomo davanti a un altro uomo che ha bisogno di aiuto”.

    Se vuoi aiutare qualcuno non puoi pensare di tenerti a distanza, ti devi coinvolgere, sporcare, forse contaminare.

    E questo fa il samaritano: “fascia le ferite” dell’uomo moribondo “dopo averle pulite con olio e vino”, lo porta con sé, “cioè se ne fa carico, perché si aiuta veramente se si è disposti a sentire il peso del dolore dell’altro”, specifica il Papa, e poi per lui trova “un albergo dove spende dei soldi” impegnandosi “a tornare ed eventualmente a pagare ancora, perché l’altro non è un pacco da consegnare, ma qualcuno di cui prendersi cura”.

    Gesù si prende cura di ognuno di noi

    La parabola, insomma, esorta ad “interrompere il nostro viaggio” e ad “avere compassione”, questo potrà accadere, fa notare Leone XIV, “quando avremo capito che quell’uomo ferito lungo la strada rappresenta ognuno di noi” di cui Gesù si è preso cura tante volte.

    Mettersi in cammino

    Un’ulteriore riflessione cui invita il Pontefice è offerta da chi sollecita Gesù a narrare la parabola. È un dottore della legge, “una persona esperta, preparata” che chiede come “si ‘eredita’ la vita eterna”, e nel fare questo utilizza un verbo che tradisce un atteggiamento egoistico. “Intende” la vita eterna “come un diritto inequivocabile”. Attraverso la sua parabola il Maestro mostra “un cammino per trasformare quella domanda, per passare dal chi mi vuole bene? al chi ha voluto bene?”. “La prima è una domanda immatura”, chiarisce il Papa, “che pronunciamo quando ci mettiamo nell’angolo e aspettiamo”, “la seconda è la domanda dell’adulto che ha compreso il senso della sua vita” ed è anche quella “che ci spinge a metterci in cammino”.

    Vatican News

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