“Ora, caro Papa Francesco, siamo noi a chiedere a te di pregare per noi, per il mondo intero, e di benedirlo”. Con queste parole Roma e il mondo intero, tramite le parole del cardinale officiante Giovanni Battista Re, Decano del Collegio Cardinalizio, hanno voluto accompagnare oggi, 26 aprile, l’anima di Papa Francesco al cielo, in Piazza San Pietro, sotto un cielo tersissimo e tra moltissima gente – oltre 250'000 mila i presenti stimati, senza contare le migliaia di persone per le strade romane -, giunte a Roma anche per questo ultimo saluto, a immagine di come è stato vissuto dal Papa l’intero pontificato: in mezzo al Popolo di Dio e nell’ascolto dei suoi bisogni.
A circondare e ad abbracciare simbolicamente la salma del Papa fedeli giunti dai luoghi più disparati della terra, 12 sovrani regnanti, 53 capi di Stato, svariati ministri e rappresentanti religiosi (per islam, buddismo, induismo, sikhismo, zoroastrismo e giainismo), delegazioni varie e nove organizzazioni internazionali, sotto lo sguardo amorevole di colei che ha accompagnato il Pontefice lungo tutto il cammino terreno, ispirandone l’azione: l’icona mariana della Salus Popoli Romani, presenza certa anche in questi istanti salienti, posta accanto alla bara e richiamo inequivocabile alla pace.
L’incontro di Trump e Zelensky in Basilica
A seguire la celebrazione, lo ricordiamo, oltre che le Diocesi in tutto il mondo e anche quella ticinese, anche migliaia di giovani giunti a Roma per il Giubileo dei Giovani e degli Adolescenti, e pure, in diretta, i fedeli sotto le bombe a Gaza, dove la parrocchia ha trasmesso l’intero funerale, nonché le carceri di tutta Italia, rievocando la vicinanza di Francesco ai carcerati.
E, durante la celebrazione stessa, il gesto forse più evocativo: pensando a Francesco, è avvenuto lo scambio della pace tra i potenti del mondo, seduti nelle prime file, mentre – come ricordano i media – prima dell’inizio della celebrazione, ha avuto luogo l’incontro inaspettato, all’interno della stessa Basilica, di Donald Trump con Zelensky, a cui potrebbe seguirne un altro nelle prossime ore. La Casa Bianca, al proposito, come riportato dal CdT e altri media, ha parlato di «una discussione molto produttiva».
E la conferma è arrivata anche dalla presidenza ucraina, da Zelensky, che sui suoi canali social ha commentato: «Un buon incontro, abbiamo avuto tempo di discutere molto a quattr'occhi. Ci auguriamo che tutto quanto detto abbia un risultato: proteggere la vita della nostra gente, un cessate il fuoco completo e incondizionato (…). Una pace affidabile e duratura che impedisca il ripetersi della guerra. Un incontro altamente simbolico che potrebbe diventare storico se si raggiungessero risultati congiunti. Grazie, presidente Trump!».
Trump e Zelensky starebbero prospettando e organizzando con le rispettive équipe un secondo incontro questo pomeriggio.

La preghiera comune per il Papa
Tali sono parsi i primi importanti momenti delle esequie, una liturgia fortemente pasquale, a partire dal cero accesso accanto alla bara, come vuole la liturgia funebre per vescovi e pontefici, al contempo vissuta da tutti con molta compostezza, assieme a un comune sentimento, un “plebiscito di affetto e ammirazione”, che ci dice “quanto l’intenso pontificato di Papa Francesco abbia toccato le menti e i cuori”, come ha poi subito sottolineato il cardinale Re, nella sua lunga e articolata omelia.
Tra il mare di folla, risuona la preghiera iniziale pronunciata dal card. Re, un appello significativamente volto a Dio, “pastore eterno delle anime”, affinché possa volgere lo sguardo al popolo, “il gregge affidato” allo stesso Papa nella sua vita terrena, che ora chiede di concedergli “la ricompensa promessa”. Si realizza così proprio la richiesta formulata dal Papa lungo gli anni del suo Pontificato e sin dal primo giorno, dal loggiato: quella di pregare per lui, qui raccolta nel gesto di intercessione più importante, ovvero chiedere che l’anima di Francesco sia accolta da Dio.
Le letture scelte per la celebrazione rievocano i valori evangelici in cui più a creduto Francesco; particolarmente la prima lettura, tratta dal Lettera di San Paolo ai Filippesi, appare summa del pensiero di Bergoglio e del messaggio reiteratamente rivolto ai potenti. San Paolo richiama infatti il tema della pace, ma anche, in immagini evangelicamente profetiche, quel senso di una “fratellanza universale”, tanto cara al Papa. Il Signore, infatti, “non fa preferenze di persone”: “Pietro allora prese la parola e disse: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d'Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti. […]”.
Dopo la lettura del Vangelo, il dialogo tra Pietro e Gesù (Giovanni 13-19), l’omelia del card. Re ha proposto, in modo inedito rispetto ai contenuti normalmente espressi in un’omelia per le esequie di un Papa, non tanto e non solo una esegesi del Vangelo, bensì una sintesi elaborata dei gesti più salienti di Francesco, gesti che hanno saputo interpretare il Vangelo alla luce dei problemi del nostro tempo, mostrando un Papa che non si è sottratto alle sfide dell’oggi e particolarmente, secondo un’espressione di Re, della “periferia delle periferie”, i luoghi più discosti e poveri del pianeta.
Tra la gente fino all’ultimo giorno
Il card. Re parte dalla stessa peculiarità del luogo della celebrazione, non tanto gli interni della Basilica, ma il sagrato, la Piazza: «In questa maestosa piazza di San Pietro, nella quale papa Francesco tante volte ha celebrato l’Eucarestia e presieduto grandi incontri nel corso di questi 12 anni, siamo raccolti in preghiera attorno alle sue spoglie mortali col cuore triste, ma sorretti dalle certezze della fede, che ci assicura che l’esistenza umana non termina nella tomba, ma nella casa del Padre in una vita di felicità che non conoscerà tramonto».
Quindi il ricordo degli ultimissimi, significativi gesti del Papa: «Il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione, che abbiamo visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all’eternità, ci dice quanto l’intenso Pontificato di papa Francesco abbia toccato le menti ed i cuori. La sua ultima immagine, che rimarrà nei nostri occhi e nel nostro cuore, è quella di domenica scorsa, Solennità di Pasqua, quando papa Francesco, nonostante i gravi problemi di salute, ha voluto impartirci la benedizione dal balcone della Basilica di San Pietro e poi è sceso in questa piazza per salutare dalla papamobile scoperta tutta la grande folla convenuta per la Messa di Pasqua. Nonostante la sua finale fragilità e sofferenza, papa Francesco ha scelto di percorrere questa via di donazione fino all’ultimo giorno della sua vita terrena. Egli ha seguito le orme del suo Signore, il buon Pastore, che ha amato le sue pecore fino a dare per loro la sua stessa vita. E lo ha fatto con forza e serenità, vicino al suo gregge, la Chiesa di Dio, memore della frase di Gesù citata dall’Apostolo Paolo: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti, 20,35)».
Il Papa della gente
Così è stato lungo tutto il suo Pontificato: «Ha conservato il suo temperamento e la sua forma di guida pastorale, e ha dato subito l’impronta della sua forte personalità nel governo della Chiesa, instaurando un contatto diretto con le singole persone e con le popolazioni, desideroso di essere vicino a tutti, con spiccata attenzione alle persone in difficoltà, spendendosi senza misura, in particolare per gli ultimi della terra, gli emarginati. È stato un Papa in mezzo alla gente con cuore aperto verso tutti. Inoltre è stato un Papa attento al nuovo che emergeva nella società ed a quanto lo Spirito Santo suscitava nella Chiesa. Con il vocabolario che gli era caratteristico e col suo linguaggio ricco di immagini e di metafore, ha sempre cercato di illuminare con la sapienza del Vangelo i problemi del nostro tempo, offrendo una risposta alla luce della fede e incoraggiando a vivere da cristiani le sfide e le contraddizioni di questi nostri anni di cambiamenti, che amava qualificare “cambiamento di epoca”. Aveva grande spontaneità e una maniera informale di rivolgersi a tutti, anche alle persone lontane dalla Chiesa».
Il carisma dell’accoglienza e dell’ascolto
«Ricco di calore umano e profondamente sensibile ai drammi odierni, Papa Francesco - ha proseguito il card. Re - ha realmente condiviso le ansie, le sofferenze e le speranze del nostro tempo, e si è donato nel confortare e incoraggiare con un messaggio capace di raggiungere il cuore delle persone in modo diretto e immediato. Il suo carisma dell’accoglienza e dell’ascolto, unito ad un modo di comportarsi proprio della sensibilità del giorno d’oggi, ha toccato i cuori, cercando di risvegliare le energie morali e spirituali».
Evangelizzazione e missione
«Il primato dell’evangelizzazione è stato la guida del suo Pontificato, diffondendo, con una chiara impronta missionaria, la gioia del Vangelo, che è stata il titolo della sua prima Esortazione Apostolica Evangelii gaudium. Una gioia che colma di fiducia e speranza il cuore di tutti coloro che si affidano a Dio».
Le sofferenze del mondo
«Filo conduttore della sua missione è stata anche la convinzione che la Chiesa è una casa per tutti; una casa dalle porte sempre aperte. Ha più volte fatto ricorso all’immagine della Chiesa come “ospedale da campo” dopo una battaglia in cui vi sono stati molti feriti; una Chiesa desiderosa di prendersi cura con determinazione dei problemi delle persone e dei grandi affanni che lacerano il mondo contemporaneo; una Chiesa capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite. Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi».
Lo sguardo agli ultimi
«Costante è stata anche l’insistenza nell’operare a favore dei poveri. È significativo che il primo viaggio di papa Francesco sia stato quello a Lampedusa, isola simbolo del dramma dell’emigrazione con migliaia di persone annegate in mare. Nella stessa linea è stato anche il viaggio a Lesbo, insieme con il Patriarca Ecumenico e con l’Arcivescovo di Atene, come pure la celebrazione di una Messa al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, in occasione del suo viaggio in Messico. Dei suoi 47 faticosi Viaggi Apostolici resterà nella storia in modo particolare quello in Iraq nel 2021, compiuto sfidando ogni rischio. Quella difficile Visita Apostolica è stata un balsamo sulle ferite aperte della popolazione irachena, che tanto aveva sofferto per l’opera disumana dell’Isis. È stato questo un Viaggio importante anche per il dialogo interreligioso, un’altra dimensione rilevante della sua opera pastorale. Con la Visita Apostolica del 2024 a quattro Nazioni dell’Asia-Oceania, il Papa ha raggiunto “la periferia più periferica del mondo”».
Il primato del perdono
«Papa Francesco ha sempre messo al centro il Vangelo della misericordia, sottolineando ripetutamente che Dio non si stanca di perdonarci: Egli perdona sempre qualunque sia la situazione di chi chiede perdono e ritorna sulla retta via. Volle il Giubileo Straordinario della Misericordia, mettendo in luce che la misericordia è “il cuore del Vangelo”. Misericordia e gioia del Vangelo sono due parole chiave di Papa Francesco. In contrasto con quella che ha definito “la cultura dello scarto”, ha parlato della cultura dell’incontro e della solidarietà».
La fraternità: il cuore di un Pontificato
«Il tema della fraternità ha attraversato tutto il suo Pontificato con toni vibranti. Nella Lettera Enciclica “Fratelli tutti” ha voluto far rinascere un’aspirazione mondiale alla fraternità, perché tutti figli del medesimo Padre che sta nei cieli. Con forza ha spesso ricordato che apparteniamo tutti alla medesima famiglia umana. Nel 2019, durante il viaggio negli Emirati Arabi Uniti, Papa Francesco ha firmato un documento sulla “Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune”, richiamando la comune paternità di Dio».
“La guerra è sempre una sconfitta”
Re si sofferma particolarmente sugli appelli di Francesco per la pace; la folla accompagna il pensiero con un forte applauso: «Rivolgendosi agli uomini e alle donne di tutto il mondo, con la Lettera Enciclica Laudato si’ ha richiamato l’attenzione sui doveri e sulla corresponsabilità nei riguardi della casa comune. “Nessuno si salva da solo”. Di fronte all’infuriare delle tante guerre di questi anni, con orrori disumani e con innumerevoli morti e distruzioni, papa Francesco ha incessantemente elevata la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra – diceva - è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole. La guerra lascia sempre il mondo peggiore di come era precedentemente: essa è per tutti sempre una dolorosa e tragica sconfitta. “Costruire ponti e non muri” è un’esortazione che egli ha più volte ripetuto e il servizio di fede come Successore dell’Apostolo Pietro è stato sempre congiunto al servizio dell’uomo in tutte le sue dimensioni».
Infine, la preghiera conclusiva: «In unione spirituale con tutta la Cristianità siamo qui numerosi a pregare per Papa Francesco perché Dio lo accolga nell’immensità del suo amore. Papa Francesco soleva concludere i suoi discorsi ed i suoi incontri dicendo: “Non dimenticatevi di pregare per me”. Caro papa Francesco, ora chiediamo a Te di pregare per noi e che dal cielo Tu benedica la Chiesa, benedica Roma, benedica il mondo intero, come domenica scorsa hai fatto dal balcone di questa Basilica in un ultimo abbraccio con tutto il popolo di Dio, ma idealmente anche con l’umanità che cerca la verità con cuore sincero e tiene alta la fiaccola della speranza».
Il Magnificat e il corteo finale
Altri significativi gesti hanno arricchito e completato la celebrazione delle esequie. Dopo le preghiere di intercessione, in francese, arabo, portoghese, polacco, tedesco e cinese – immagine dell’universalità della Chiesa –, la celebrazione dell’eucaristia, l’invocazione particolarmente evocativa delle Chiese orientali sui iuris, e la preghiera con l’aspersione della bara, durante la quale si è ricordato Francesco quale «annunciatore intrepido» della Parola, dispensatore di grandi benefici per il Popolo di Dio, nella speranza che sia ora accolto nel «Santuario del cielo».
Infine, la scelta di affidare la conclusione a Maria, con il canto corale del Magnificat, la gratitudine espressa con le parole stesse della madre di Cristo, a ricordo rinnovato della grande devozione mariana del Papa.
A seguire un corteo papale d’eccezione – l’ultimo risaliva a Papa Leone XIII, nel 1903 – fino alla basilica di Santa Maria Maggiore luogo di sepoltura scelto personalmente dal Papa, là dove si è recato oltre 100 volte lungo tutto il suo Pontificato. Si ricorda che Francesco è il primo pontefice in più di un secolo a non essere sepolto nelle grotte sotto San Pietro. Ma non è il primo a essere sepolto a Santa Maria Maggiore. Insieme a lui anche due papi vissuti nel XIII secolo (papa Onorio III e papa Niccolò IV) e altri cinque il cui pontificato ebbe luogo tra il XVI e XVII secolo (papa Pio V, papa Sisto V, papa Clemente VIII, papa Paolo V e papa Clemente IX). Ad accogliere questo gesto importante, questa mattina, un gruppo di poveri e bisognosi, assistiti dall'Elemosineria papale, per rendere l'ultimo omaggio a Papa Francesco prima della tumulazione del feretro con una rosa bianca in mano.
Una rosa bianca anche dal Ticino
Oltre un centinaio di fedeli della Diocesi di Lugano si sono ritrovati questa mattina per seguire le esequie, uniti in comunione e preghiera, sia a Balerna, presso l’Oratorio, che al Palazzo dei Congressi di Lugano, dove era presente anche mons. Alain de Raemy, amministratore apostolico.
Intervistato dalla RSI, tiene tra le mani alcune rose bianche, le stesse che simbolicamente sono state donate al Papa all’arrivo del feretro nella Basilica di Santa Maria Maggiore: «Sono le rose di Santa Teresina di Liesieux, quelle che la Santa ha promesso di dispensare dal cielo e a cui il papa era molto devoto», commenta de Raemy, a cui le rose sono state donate da una fedele presente, con la richiesta di consegnarle in cattedrale alla cappella della Madonna delle Grazie.
Tra la gente il vescovo, confida, ha visto «tanta commozione, tanta partecipazione; più si andava avanti e più profondo diventava il coinvolgimento di ognuno, in questo addio, che è un andare “a Dio”, dunque vissuto con questa speranza. In un periodo di forte dubbio, come quello attuale, per il futuro del mondo, la gente ha bisogno di ritrovarsi. Personalmente guardo al futuro della Chiesa con molta fiducia; ho visto i volti dei cardinali presenti, esprimono la varietà della Chiesa, così come mi ha dato speranza lo Spirito Santo che soffiava sulle pagine del Vangelo aperto sulla bara. Le sollevava, è un bel segno: io, personalmente, sono pieno di speranza. Si deve e si può continuare con il Vangelo messo in atto. Sono pieno di fiducia anche per il Ticino, e al fatto che il nuovo Papa guarderà alla sua situazione con occhi nuovi”, ha concluso de Raemy.
(red)