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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (20 aprile 2025)
CATT
  • Mese Missionario Straordinario
    COMMENTO

    Per una missionarietà che abbia il sapore del Vangelo

    Essere battezzati significa essere missionari? La frase è teologicamente del tutto corretta, anche entusiasmante, ma non si può dire che rispecchi la realtà della vita della Chiesa. Perché? La risposta è, ad un tempo, semplice e imbarazzante: chi vive la condizione di appartenente ad una Chiesa solo come risultato di un’educazione ricevuta o di un’abitudine, senza un effettivo coinvolgimento esistenziale, la missionarietà prima menzionata non ha alcuna concretezza. In questo mese missionario straordinario, voluto con passione da papa Francesco sono state molte le iniziative che hanno tentato di far riflettere sul rapporto tra battesimo e missione: quanto la Diocesi di Lugano ha proposto, a cominciare dal battistero di Riva San Vitale, andava esattamente in questa direzione e merita di essere ripreso con viva partecipazione di cuore, di mente, ossia di vita. Anzitutto perché, se essere battezzati è, dopo l’infanzia, quindi da persone divenute capaci di intendere e di volere, una condizione di rapporto intenso con l’amore del Dio di Gesù Cristo, allora vi è un’unica possibilità: provare a condurre la propria vita ad immagine e somiglianza dell’uomo di Nazareth, che ha dedicato tutto se stesso alla liberazione degli altri dalla sofferenza, dal male, dalla morte, facendo comprendere che cercare di amarli è la sola modalità veramente umana per esistere. E, quanto più questo discorso è vero, tanto più una logica di vita come questa merita di essere diffusa, anzitutto nella concretezza delle opzioni quotidiane, senza moralismi, senza ingenuità, senza fondamentalismi, in tutte le direzioni, a cominciare dai contesti in cui la nostra vita si svolge ogni giorno: famiglia, scuola, luoghi di lavoro, compagnie di amici. L’azione di evangelizzazione nella promozione umana realizzata nei Paesi extra- europei, che per secoli è parsa la sola vera modalità per essere missionari, da tempo non è più l’unica. Che oggi in Occidente sia chiaro che cosa significhi vivere per il Vangelo di Gesù Cristo è assai dubbio. E occorre costantemente riaffermare un fatto importante: diffondere il Vangelo stesso fuori dall’Europa debba passare attraverso un’attenta, rispettosa e creativa inculturazione dei valori evangelici nei contesti spesso assai lontani dalla cultura euro-occidentale ed euro-mediterranea. In tale prospettiva essenziale si è mosso il sinodo dei vescovi cattolici sull’Amazzonia appena concluso, il quale ha proposto la costituzione di una commissione che studi “l'elaborazione di un rito amazzonico, che esprime l'eredità liturgica, teologica, disciplinare e spirituale dell'Amazzonia” (documento finale - n. 119). Diffondere il Vangelo di Gesù Cristo non significa anzitutto fare discorsi astratti o nozionistici, ma far conoscere, con azioni e parole, parole ed azioni, la bellezza e la bontà dell’amore che fa crescere se stessi insieme agli altri attraverso ogni modalità possibile. Marcello Candia, un grande missionario laico in Brasile, morto nel 1983, diceva qualcosa di molto semplice: “Se hai due paia di scarpe e ne dai uno ad una persona povera, non fai un atto di carità, ma un atto di giustizia. Se hai un solo paio di scarpe e lo dai ad una persona povera, allora quella è carità”. Se si riuscirà a far entrare questa mentalità nel cuore, nella mente, nella vita di ciascuno, in un mondo pure intriso di economicismo distruttivo e soffocante come il nostro, allora la qualità umana dell’esistenza collettiva non potrà che migliorare sensibilmente (il libro di don Marco Bassani, "Quando il povero non deve pensare", la Meridiana, Molfetta 2018, è un esempio significativo anche in questa linea). La conoscenza esistenziale della Bibbia, dei suoi testi e dei suoi valori, e una pratica sacramentale aliena da qualsiasi concezione autoritaria, moralistica e dottrinalistica sono due strade da percorrere insieme sulla strada di una missionarietà credibile, in ogni parte del mondo. Alle tante persone, di tante confessioni cristiane diverse e di altri ispirazioni culturali, che operano nel Terzo Mondo in chiave seriamente missionaria va un plauso ammirato e riconoscente. Tutti noi, che abitiamo il cosiddetto “Primo Mondo” abbiamo, se cerchiamo di essere cristiani, un imperativo categorico dinanzi a noi: provare ad essere testimoni della libertà e della giustizia evangeliche in ogni occasione possibile, creando collaborazioni di ogni genere, in campo culturale, sociale, politico, perché i valori appena menzionati trovino una realizzazione sempre migliore, magari anche sostenendo concretamente progetti di libertà e giustizia geograficamente vicini e/o lontani da noi. Senza illusioni e senza attendismi, evitando qualsiasi forma di settarismo, un modo di essere quest’ultimo che non fa certamente bene all’evangelizzazione, perché tradisce nella sua essenza il cuore del Vangelo, che è una parola di vita che allarga gli orizzonti dell’esistenza verso un amore sempre più caloroso, concreto generoso. Ernesto Borghi di Ernesto Borghi

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