di Cristina Uguccioni
San Paolo VI in un famoso intervento lodò la vita di Nazaret sottolineando che la spiritualità cristiana si dipana nella ordinarietà dell’esistenza vissuta come relazione con Dio. Se pensiamo che Gesù ha trascorso a Nazaret ben trent’anni comprendiamo quale peso ha la vita vissuta come relazione con il Padre. Ecco le case dove due uomini e due donne hanno vissuto la loro storia con Dio.
Il 26 settembre 1897 nasce a Concesio (Brescia) Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI. I genitori sono Giorgio Montini, avvocato, esponente di primo piano del cattolicesimo sociale e politico italiano di fine Ottocento, e Giuditta Alghisi. Acquistata nel 1830 dai Montini, famiglia di antica nobiltà rurale, la casa natale è un ampio immobile di campagna, elegante e robusto nelle sue linee seicentesche. Il nonno del pontefice, Ludovico Montini, medico, uomo di fine sensibilità e figura di rilievo del cattolicesimo bresciano, decise insieme alla moglie che una parte della dimora avrebbe accolto famiglie di contadini che lavoravano le terre della famiglia e/o famiglie povere della zona. Questa regola è stata in vigore sino all’anno 2000. Attualmente, in quella porzione della dimora sono invece ospitate suore salesiane che collaborano alle attività dell’Istituto Paolo VI e accompagnano i visitatori facendo loro scoprire le radici del pensiero e della spiritualità di san Paolo VI. Nella casa le tre stanze del piano terra ospitano bacheche con fotografie e documenti relativi alla famiglia Montini e all’attività educativa del futuro papa. Al primo piano si trovano le camere tra cui quella dove nacque Giovanni Battista. Vi sono anche la biblioteca di famiglia e fotografie, documenti e oggetti riguardanti il Concilio Vaticano II e i numerosi viaggi compiuti dal pontefice. La casa natale è circondata da un’estesa area verde dove sorgono l’Istituto Paolo VI e il museo che ospita La Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea: è una straordinaria raccolta di oltre 250 opere di grande valore nata dal rapporto amichevole che Montini ha intrattenuto con molti artisti durante tutta la sua vita; un patrimonio di dipinti, disegni, stampe, medaglie, sculture del Novecento di artisti quali Chagall, Matisse, Dalí, Fontana, Morandi, Picasso, Magritte, Rouault, Casorati, Manzù.
Il Museo Casa don Bosco racconta la vita di un uomo, don Giovanni Bosco, e di un quartiere, Valdocco, che hanno cambiato per sempre il volto di Torino e la vita di milioni di giovani che, in tutto il mondo, sono stati raggiunti dal carisma salesiano. Il percorso della Casa comincia nei sotterranei del primo oratorio: qui si trovano la grande cantina, nella quale è esposta una collezione di sculture mariane, il primo refettorio dei ragazzi e la prima cucina dell’oratorio che venne realizzata nel 1856 ed era attrezzata per preparare pasti per una comunità che nel 1858 contava circa 220 persone. Si osservano ancora il pozzo, cui è collegata la fontana del cortile, una dispensa in muratura e uno spazio adibito alla preparazione delle vivande calde. Il percorso museale si snoda sino al secondo piano che ospita le «Camerette di Don Bosco». Vi è l’anticamera, che in origine era la prima camera di Don Bosco (1853-1861) e fungeva da camera da letto, sala di ricevimento e ufficio. Successivamente questa camera venne trasformata: qui il 18 dicembre 1859 Don Bosco fondò la Congregazione Salesiana. Vi è poi la seconda Camera che don Bosco utilizzò (1861-1887): l’allestimento mostra la sua quotidianità attraverso il letto, il divano, le sedie e la scrivania, dove il santo compose le Regole dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Si giunge quindi alla stanza che fungeva da Cappella e alla cosiddetta «Camera della morte» dove il Santo venne trasferito quando era gravemente malato.
«Perché Rita da Cascia è santa?» si domandava Giovanni Paolo II. «Non tanto – diceva – per la fama dei prodigi che la devozione attribuisce all’efficacia della sua intercessione presso Dio onnipotente, quanto per la stupefacente «normalità» dell’esistenza quotidiana, da lei vissuta prima come sposa e madre, poi come vedova ed infine come monaca agostiniana». Due località scandiscono in particolare gli avvenimenti di questa quotidianità «normale» di Margherita Lotti, futura santa Rita: Roccaporena e Cascia (Perugia), due borghi che distano pochi chilometri l’uno dall’altro. A Roccaporena si possono visitare diversi luoghi: la casa dove venne al mondo, un antico edificio a due piani, la chiesa di San Montano dove Rita si recava a messa e andò sposa a Paolo di Ferdinando, e la casa dove visse dopo il matrimonio, un piccolo edificio che nel Seicento venne trasformato in cappella. A Cascia si trovano invece la basilica fatta erigere in onore della santa nel 1937, che conserva l’urna con il suo corpo, e il monastero di clausura delle agostiniane, dove ella visse quarant’anni e dove morì, nel 1457. A Roccaporena si trovano altri due luoghi significativi: il primo è lo scoglio della preghiera. Situato in vetta a un colle alto 827 metri e oggi racchiuso in una cappella, è il luogo dove la santa era solita pregare. E poi c’è il suo piccolo orto: secondo la tradizione, Rita, ormai prossima alla morte, chiese ad una parente di portarle una rosa e due fichi del proprio orto. Era gennaio e la parente era certa di non trovare alcunché: invece trovò quanto Rita desiderava.
Proclamata dottore della Chiesa, patrona d’Italia e patrona d’Europa, santa Caterina (1347-1380), che apparteneva al Terz’Ordine domenicano, fu protagonista di un’intensa opera di consiglio spirituale che svolse presso ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e persone del popolo, consacrati, ecclesiastici, compreso Papa Gregorio XI che in quel tempo risiedeva ad Avignone e fu che energicamente ed efficacemente esortato da Caterina a fare ritorno a Roma. Caterina, che si prendeva cura di poveri e malati, viaggiò anche molto per sollecitare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati. A Siena, la dimora natale, dove viveva, è stata trasformata nel corso dei secoli in un santuario. Il complesso si articola in vari ambienti: una volta attraversato il cosiddetto Portico dei Comuni, si arriva ad un piccolo atrio cinquecentesco, cui segue un secondo atrio. Sul lato destro si trovano la Chiesa del Crocifisso e la Cappella delle Confessioni, sul lato opposto si affaccia l’Oratorio della Cucina mentre al piano inferiore è situato l’Oratorio della Camera. Il Portico dei Comuni è chiamato così perché, quando Caterina fu proclamata patrona d’Italia, ogni comune italiano donò un mattone per la costruzione. Scendendo una scalinata si arriva all’Oratorio della Camera, che ingloba il luogo in cui Caterina pregava e riposava: lì, insieme ad alcune reliquie, è visibile la pietra sulla quale la santa era solita poggiare la testa per riposare.
Forti le parole del leader della Chiesa greco ortodossa di Antiochia, vero e proprio «manifesto» delle attese di tanti cristiani siriani
Il messaggio lancia un appello per la liberazione “degli ostaggi, dei prigionieri, il ritorno dei senzatetto e degli sfollati, la cura dei malati e dei feriti, il ripristino delle proprietà sequestrate o minacciate e la ricostruzione di tutte le strutture civili che sono state danneggiate o distrutte”.
Oggi, 12 dicembre, è la sua festa. La testimonianza di quanto la purezza del cuore possa far fiorire nel mondo la bellezza.