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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (26 aprile 2025)
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  • COMMENTO

    Commenti ai Vangeli della domenica

    Calendario ambrosiano: commento a Gv 8, 31-59 (mons. Giuseppe Grampa)

    Innumerevoli volte nelle pagine della Bibbia il nome di Dio è congiunto con quello di Abramo. Dio è il Dio di Abramo (Es 3,4ss.). Il nostro Dio è anzitutto prima che nostro, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, è il Dio dei nostri Padri. Se vogliamo conoscere Dio dobbiamo conoscere Abramo, dobbiamo riconoscerci figli di Abramo, gente del suo popolo. In una notte piena di stelle Dio si rivolse ad Abramo così: «Guarda in cielo e conta le stelle se riesci a contarle: tale sarà la tua discendenza così numerosa sarà la tua discendenza. Egli credette al Signore» (Gen 15,5). In quella stellata notturna c’eravamo anche noi figli promessi ad Abramo, chiamati a far parte di questo grande popolo dei figli di Abramo.

    E’ grazie a questa ininterrotta catena di credenti–i figli di Abramo–che la fede è giunta fino a noi. E’ dentro questo popolo che Gesù, della stirpe di Abramo, è venuto nel mondo. Ma allora è in forza del sangue di Abramo che anche noi e ogni altro uomo può appartenere al popolo dei figli di Abramo? Se così fosse non la fede ma il sangue deciderebbe della nostra appartenenza al popolo di Dio. In altre parole la nostra sarebbe una religione etnica, costruita sulla base esclusiva di una appartenenza razziale. Non sarebbe per tutti, nessuno escluso. Le promesse di Dio non sono per un popolo, peggio per una razza, ma per l’intera umanità. Pretendere di legare Dio ad un popolo, ad una razza, ad una lingua, ad una cultura vuol dire negare quel Dio che è sì il Dio di Abramo, dei nostri Padri, ma per una salvezza che è per tutti, per ogni uomo che lo cerca con cuore sincero. Nessuno spirito settario, nessun esclusivismo è compatibile con il respiro grande, universale del popolo di Dio, popolo dei figli di Abramo, figli innumerevoli come le stelle del cielo e la sabbia sulla riva del mare. In tempi di risorgenti chiusure e ostilità verso stranieri e diversi bisogna tenacemente ripetere che «Dio non fa preferenze di persone » (At 10,34).

    La fede di Abramo ha una seconda caratteristica. La prima parola che Dio rivolge ad Abramo è un imperativo: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò... E Abramo partì, come gli aveva ordinato il Signore» (Gen 12, 1). Il popolo dei figli di Abramo, il popolo di Dio è popolo in cammino, popolo in ricerca. Come Abramo così il popolo di Dio cammina avendo negli occhi un sogno, cieli nuovi e terra nuova, perché «non è questa la nostra città definitiva, ne cerchiamo una futura» (Eb 13,14). Ancora oggi si riconoscono figli di Abramo Ebrei, Cristiani e Mussulmani. Possiamo insieme pregare così: Benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri. Non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Abramo, tuo amico».

    Calendario romano: commento a Lc 13,1-9 (Cristiano Proia)

    C’è una fondamentale virtù, tanto importante quanto poco presente nel parlare comune. L’etimologia del termine che la rappresenta nasce dall’insieme dei concetti di separare e scegliere, e indica la capacità di scindere il complesso in parti minute, valutandolo con cognizione di causa. «Il discernimento non è una parola del linguaggio liturgico: piuttosto di quello spirituale ». Con queste parole Monsignor Pier Giacomo Grampa, vescovo emerito di Lugano, introduce il concetto chiave di questa terza domenica di Quaresima, intervistato da Dante Balbo.

    Due episodi di cronaca e una parabola in questo passo del Vangelo domenicale: «Sembra quasi che Gesù commenti degli immaginari giornali dell’epoca», sottolinea Dante Balbo. Pilato che ordina una strage di Galilei giunti a Gerusalemme per i rituali della Pasqua, «con il loro sangue mescolato a quello degli animali sacrificati», e una torre che, crollando, seppellisce le vite di diciotto persone. «Nel giudizio popolare solo grandi peccatori avrebbero potuto meritare una sorte del genere: eccolo» suggerisce il Vescovo emerito «il discernimento mancato. Anche al giorno d’oggi c’è chi commenta stragi, come se Dio, in vesti di vendicatore, aspettasse al varco i peccatori per punirli. Non è così: Gesù invita alla conversione, ad aprire gli occhi verso un cambiamento.

    E l’invito al discernimento» continua monsignor Grampa «passa anche attraverso la narrazione della parabola del fico. Il contadino non segue l’indicazione del padrone, e non taglia una pianta da tre anni infruttuosa. Discerne, e sceglie la pazienza, per provare a tirare fuori un buon raccolto». L’importanza del discernimento secondo «don Mino» è rimarcata in altri passi dei Vangeli: «non spegnete lo stoppino fumigante», «non disprezzate la canna incrinata». «Non è l’atteggiamento vendicativo ma la misericordia. Questo discernimento possiamo applicarlo alla vita quotidiana, dalla famiglia, alla scuola, al lavoro, e anche alla politica» continua monsignor Grampa.

    «Questo percorso è consolante» suggerisce Dante Balbo «anche per il nostro cammino: la consapevolezza della propria fragilità può portare al timore di non potercela fare: Dio interviene ribadendo che la sua pazienza verso gli uomini è superiore a quella con cui gli uomini tollerano se stessi». «Nei quaranta giorni della nostra Quaresima dobbiamo recuperare questo cammino» chiude il vescovo Grampa «non dobbiamo perdere la fiducia né scoraggiarci: e nelle prossime domeniche parleremo di altri episodi significativi di questo discernimento, che è una lezione ed un incoraggiamento per tutti noi».

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