di Laura Quadri
Solidarietà: una parola che manca ancora nella lotta al cambiamento climatico. Ne è convinto, senza mezzi termini, David Knecht, co-responsabile per il settore riguardante l’energia e la giustizia climatica di «Azione Quaresimale» (AQ). L’organizzazione è stata invitata quale osservatrice speciale, con una sua delegazione, alla 29esima Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP29), dall’11 al 22 novembre scorsi a Baku, in Azerbaigian.
Crisi e azione comune: il «saggio» appello del Papa
«Penso sia compito delle associazioni, dei gruppi e dei singoli fedeli cristiani in primis, tenere alta l’attenzione su questo aspetto. La solidarietà, e con essa la popolazione dei Paesi in via di sviluppo, è attualmente sotto pressione. Ma la verità è che la crisi climatica richiede, senza vie di fuga, proprio solidarietà. Dobbiamo agire assieme, per i nostri fratelli e le nostre sorelle nel mondo», afferma Knecht, che raggiungiamo al termine dell’evento. E sottolinea a questo proposito: «I discorsi del Papa, i suoi interventi magisteriali in favore del clima sono molto incisivi. La mia speranza è che vengano seguiti, poiché, prima che un “Paese” o una “Nazione” a soffrire dello stato attuale della nostra Casa comune sono uomini e donne in carne e ossa».
I lavori alla COP29: una lunga attesa
Una nostra curiosità è chiedergli che spirito di lavoro abbia trovato a Baku: «È stata una conferenza sul clima, dunque su un tema, come ha detto un mio collega, che è in un certo senso “la madre di tutti i conflitti”. La domanda principale era molto concreta: quanto si dovesse investire a livello internazionale nei prossimi anni in favore del clima e in particolare per attuare la decisione presa alla COP28 di ridurre il più possibile l’uso di energie fossili. E questo ha creato molte attese. I bisogni, le necessità erano chiare, ma non lo era, invece, il contributo che avrebbero dovuto dare i Paesi industrializzati. Si è giunti all’abbozzo di una prima cifra solo nelle ultime ore del summit. Ho dunque trovato un’atmosfera, fino alla fine, molto tesa».
L’insoddisfazione dei Paesi in via di sviluppo
300 i miliardi stanziati, al termine della COP29, per far fronte alla crisi climatica. Ma la soddisfazione è lungi dall’esserci: «Non si può essere soddisfatti», stima Knecht, «e lo dico anzitutto per un motivo: la COP29 doveva dare delle regole chiare su come agire per i prossimi anni per l’abbandono delle energie fossili, ma così non è stato, perché non sono state date indicazioni davvero precise su come la transizione ecologica debba avvenire. Dobbiamo tenere in conto che questi 300 miliardi serviranno per tre aspetti molto vasti: i Paesi vi dovranno attingere sia per limitare le proprie emissioni di CO2, sia per favorire la transizione stessa, adattando i propri sistemi produttivi e, infine, per il risanamento dei danni causati dall’inquinamento. Ci sono troppi bisogni e troppi costi da coprire. La società civile e le varie associazioni che hanno potuto assistere e intervenire alla COP29 chiedevano all’incirca 1’000 miliardi per le tre cause, mentre i Paesi industrializzati sin dall’inizio parlavano di soli 250 miliardi».
Il ruolo della Svizzera: quale il suo impegno?
Ma nei media, negli scorsi giorni, è intanto emersa la notizia che la Svizzera si sia detta, tutto sommato, soddisfatta. Cosa ne pensa? «Penso in realtà che anche per la Svizzera ci siano motivi di delusione, proprio perché non sono stati fatti progressi nel processo che dovrebbe portarci ad abbandonare le energie fossili. Ci può essere soddisfazione solo dal punto di vista finanziario. Il governo svizzero è infatti andato alla COP29 chiedendosi, molto concretamente, in che misura finanziariamente avrebbe potuto contribuire, in base alle sue attuali risorse. La soddisfazione deriva dal fatto di aver potuto investire quanto previsto». Tuttavia, «rimane una lacuna tra le esigenze globali e ciò che è stato effettivamente deciso. Sorge quindi la domanda – una questione che riguarda tutti i Paesi del mondo, compresa la Svizzera – su quali altri mezzi di finanziamento potrebbero essere utilizzati in futuro per la causa, ad esempio attraverso tasse aggiuntive sulle emissioni di CO2 dei mezzi di trasporto come gli aerei o le navi. Ciò richiede un’azione coordinata a livello globale. La Svizzera deve agire in questo senso».
E ora? Azioni sul piano nazionale
Infatti, ci spiega Knecht, «tutto accadrà nel prossimo futuro. Ora ogni Paese deve decidere quale dovrà essere il suo contributo specifico alla protezione del clima globale. Tutti i Paesi devono elaborare i loro piani e fissare i loro obiettivi climatici entro la metà di febbraio del ‘25. Le decisioni prese ci mostreranno in vista della COP30 in Brasile quanto concreta e di vasta portata possa essere l'attuazione della transizione energetica e la riduzione delle emissioni a livello globale. Azione Quaresimale spera che la Svizzera dia in questi campi un contributo sufficientemente ambizioso».
Anche quest’anno il costo della vita in Svizzera è aumentato. Per le famiglie con risorse economiche limitate, tale incremento rappresenta una seria minaccia alla loro esistenza. Lo afferma Caritas Svizzera in un comunicato.
Anche bambini di Origlio/Ponte Capriasca tra i tre gruppi di altrettante regioni linguistiche accolti dalla Presidente del Consiglio Nazionale Maja Riniker.
Le proposte, al concorso indetto ogni anno dalla Conferenza dei vescovi svizzeri, possono essere inoltrare fino al 15 gennaio.