Sollecitato da cath.ch, Pascal Bregnard, direttore di Caritas Friburgo, offre senza mezzi termini le sue impressioni su Dilexi te, la prima esortazione apostolica di papa Leone XIV, pubblicata il 9 ottobre 2025. «Ti ho amato» (Ap 3,9). Tre parole e mezzo. Un lampo nella notte. Una verità nuda in un mondo che riserva l’amore solo a chi ha successo.
Con Dilexi te, papa Leone XIV non prega: provoca. Scuote la polvere delle nostre abitudini, fa tremare i muri del nostro conforto e suona l’allarme. Questo testo non consola, risveglia. Non rassicura, chiama. È un grido verso i cuori dimenticati – quelli che non hanno né potere, né gloria, né posto.
Dilexi te non è un’esortazione; è un’insurrezione spirituale. Una dichiarazione di guerra contro l’indifferenza, la tiepidezza, la rassegnazione. Il papa non propone un ideale: traccia una linea. Da una parte, la fede che agisce. Dall’altra, la fede che si scusa.
Prendere Dilexi te sul serio significa accettare il vertigine dell’amore incondizionato. Significa ascoltare la Chiesa chiamata a spogliarsi, a scendere, ad amare senza calcoli. Non è un testo per i potenti. È un richiamo per i vivi.
Il Cristo non bluffa
Dio sceglie i poveri. Punto. La Chiesa non può aggirare questa verità senza tradire il proprio DNA. Il testo di Leone XIV gratta l’anima fino alla verità. Disturba là dove il Vangelo brucia. Nessuna ambiguità: il Cristo sta dalla parte di coloro che non hanno nulla. Non per glorificare la miseria, ma perché in loro l’umanità ritrova il suo vero volto: vulnerabile, aperto alla grazia. Là dove la società seleziona, Dio accoglie. Là dove il mondo esclude, Dio si inginocchia. Che programma!
I poveri, soggetti di rivelazione, non oggetti di carità
La Chiesa non è chiamata a parlare dei poveri, ma a vivere con loro. Leone XIV è diretto: ignorare i poveri significa ignorare Dio. Non sono oggetti di carità, ma luoghi di rivelazione: in loro Dio si rende presente, fragile e concreto.
E se la povertà non fosse prima di tutto una questione economica, ma spirituale? Dilexi te invita a un rovesciamento interiore: passare da una società che calcola a una Chiesa che consola, da una carità di facciata a una vera comunione.
«I poveri li avrete sempre con voi», ci ricorda il Vangelo. Spesso intesa come un peso, questa frase è forse una promessa: la presenza permanente di Cristo in mezzo a noi. Nell’epoca in cui le nostre società erigono muri e glorificano il successo individuale, questa parola risuona come un richiamo all’ordine evangelico.
Cristo si è fatto povero non per celebrare la miseria, ma per liberarci dalla tirannia dell’avere. Accetta la croce per dire: il vero potere è l’amore che si dona. Perché questa scelta? Perché i poveri rivelano ciò che il mondo nasconde: la nostra dipendenza radicale dall’amore. In una società ossessionata dalla performance, la povertà diventa profezia: smaschera la menzogna e ricorda che l’essere umano è fatto per il dono, non per l’accumulazione.
Ritrovare la credibilità
E se la Chiesa tornasse a essere credibile? Non difendendo i suoi muri o i suoi privilegi, ma rialzando gli uomini e le donne attraverso il servizio e la diaconia. Quest’ultima non è un’opzione: è la manifestazione concreta dell’amore di Dio. Non è semplicemente “fare del bene”; è riconoscere il Cristo vivente nel volto dell’altro.
Servire significa combattere l’ingiustizia, rialzare chi cade, nutrire chi ha fame, restaurare la dignità ferita, tessere legami, lottare contro la solitudine, accompagnare i malati. Finché la Chiesa resta distante da queste dimensioni, parla di Dio senza incontrarlo. È vuoto. È triste. Ma quando scende a lavare i piedi del mondo, allora diventa Vangelo.
La radicalità del dono
Il messaggio di Dilexi te è radicale: non sono i poveri ad aver bisogno della Chiesa, è la Chiesa ad aver bisogno dei poveri. Essi custodiscono la verità che noi dimentichiamo: Dio non si manifesta nella potenza, ma nel dono disarmato. Una Chiesa diaconale sono mani callose che pregano e servono. Meno parole, più gesti. È nella polvere del servizio che la Chiesa ritrova la luce. Lì, nel volto ferito del mondo, il Vangelo torna a incarnarsi. E risuona il grido di Dio: «Ti ho amato».
Pascal Bregnard, direttore di Caritas Friburgo (cath.ch/bh/traduzione catt.ch)