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  • Giaccardi: «È necessario ripensare il modello di famiglia per sconfiggere la denatalità»

    Giaccardi: «È necessario ripensare il modello di famiglia per sconfiggere la denatalità»

    di Silvia Guggiari

    Diecimila nascite in meno in soli due anni: anche la Svizzera è oggi coinvolta nella crisi della natalità che si sta abbattendo su tutti i Paesi occidentali. Basti pensare che nel 2023 si sono registrate 79 823 nascite, contro le 89 644 del 2021. Un fenomeno che viene rispecchiato anche in Ticino dove nel 2022 la media di figli per ogni donna è stata dell’1,25, contro l’1,39 della Svizzera. Dati presentati al convegno organizzato dalla «Pro Familia» a Mendrisio in occasione della 30esima giornata della Famiglia il 15 maggio scorso e che abbiamo letto insieme alla sociologa Chiara Giaccardi, professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

    Prof. ssa Giaccardi, quali sono le cause di questo drastico calo della natalità?

    La situazione è complicata, ci sono diversi piani che si intrecciano e che sono tutti egualmente importanti: c’è una questione culturale che spinge sulla realizzazione individuale e che cerca di evitare le scelte definitive e i legami stabili che non possono essere sciolti, come quello con un figlio. C’è dunque la questione economica: il lavoro non è sempre remunerato adeguatamente, non si investe sulle nuove generazioni e aumenta il divario tra chi ha patrimoni enormi e gli altri. Non si può colpevolizzare una generazione attribuendo la responsabilità della denatalità, quando non ci sono minimamente le condizioni perché la genitorialità possa essere alla portata di tutti.

    Ma il desiderio di procreare c’è ancora?

    Che ci sia un calo del desiderio è innegabile; e forse c’è anche una crisi del modello di famiglia che è stato costruito negli anni. Io penso che la famiglia sia unica, irripetibile e irrinunciabile, però non è detto che la famiglia sia necessariamente quella forma nucleare che è stata costruita dalla seconda metà del Novecento in poi e che non a caso ora si sta cercando di smontare. Questo modello non tiene più, basta pensare che non ci si sposa più e che i divorzi sono sempre in aumento.

    Perché?

    Perché la famiglia da sola non ce la fa; i servizi non ci sono o costano moltissimo, i nonni magari sono lontani, manca quel tessuto sociale che una volta consentiva alle famiglie di sostenersi reciprocamente. Il modello nucleare nel proprio appartamento è solo un tipo di famiglia che oggi non basta più. Non si tratta di tornare indietro, ma di guardare avanti, di riconoscere quello che non va nelle forme che abbiamo costruito e di creare un contesto di condivisione anche intergenerazionale o interculturale che può essere più stimolante per una coppia giovane. È tutto un equilibrio di fattori culturali, economici, psicologici, professionali; ma si tratta anche di liberare la famiglia dalle retoriche e ripensarla in modi nuovi. Non possiamo parlare della famiglia come di qualcosa di meraviglioso quando la criticità c’è e, ad esempio, i femminicidi come gli abusi sui minori avvengono molto spesso in famiglia.

    È necessario dunque fare rete…

    Certo. Abbiamo messo tutto sulle spalle del singolo, ma senza i contesti le azioni non si fanno. Se si cominciasse a mettersi insieme, a sperimentare nuovi modi per vivere la famiglia, questo forse pian pian potrebbe cambiare il contesto.

    Agli "Stati generali della natalità" a Roma papa Francesco ha detto che "una madre non deve più essere costretta a scegliere tra i figli e il lavoro". Ma forse siamo ancora lontani da questa prospettiva…

    Secondo me una donna che lavora può essere una madre migliore e viceversa, ma nella nostra società è ancora necessario creare queste condizioni.

    I punti per cambiare rotta sono tanti: quali quelli più urgenti?

    Una cosa molto difficile da fare ma necessaria è cambiare la cultura, abbandonando questa mentalità individualistica e creando delle misure di sostegno dirette che supportino gli anni più decisivi del bambino. I salari devono essere adeguati e i prezzi calmierati perché i figli costano. Ci sono delle politiche che non riguardano direttamente la famiglia ma che incidono comunque su di essa: il problema della società di oggi è che non si mettono insieme le questioni, ma si affrontano una alla volta e così sembra che la denatalità sia una questione sganciata da tutto il resto. Ma lo sviluppo di ogni Paese si vede dal numero dei giovani, dalla vitalità delle nuove generazioni e dalla loro capacità di iniziativa. L’incoraggiamento a fare figli deve andare di pari passo con delle misure molto concrete senza una retorica ideologica.

    Leggi anche la testimonianza della famiglia Bisco: Arianna e Alberto: «Avere tre bambini: fatiche e gioie di una scelta non sempre compresa» (catt.ch) e il commento di don Gian Pietro Ministrini: Cambiano le famiglie, ma «fare rete rimane determinante» (catt.ch)

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