di Cristina Uguccioni
«Sull’orizzonte della storia, questa grande figura di donna si staglia con limpida chiarezza per santità di vita e originalità di dottrina». Con queste parole Benedetto XVI descrive S. Ildegarda di Bingen, nata in Germania nel 1089 e proclamata dottore della Chiesa nel 2012.
Monaca benedettina, ebbe visioni mistiche sin da bambina. S. Bernardo – cui lei si rivolse per discernere l’origine di tali visioni – la incoraggiò e papa Eugenio III l’autorizzò a scrivere e a parlare in pubblico. Su questa grande figura di donna dialoga con Catholica Paola Müller, docente di Storia della Filosofia Medievale all’Università Cattolica di Milano e autrice del recente volume «Visioni sinfoniche. Ildegarda di Bingen tra suoni e parole» (Carrocci).
In quali ambiti il pensiero di questa donna si rivela oggi particolarmente istruttivo?
«Direi in almeno tre ambiti. Sul piano antropologico, perché restituisce una visione integrale dell’essere umano, dove corpo e spirito, uomo e donna, natura e grazia si rispecchiano in un’armonia originaria. Sul piano teologico, perché offre un’immagine di Dio che include anche il principio femminile, capace di esprimere misericordia, fecondità e cura; una visione che invita a pensare la trascendenza come relazione. Sul piano ecclesiale, perché mostra come la parola delle donne possa essere teologicamente autorevole e spiritualmente feconda: la sua voce, umile ma potente, è un monito a custodire nella Chiesa la differenza come ricchezza e la complementarità come via alla verità».
Vi è un aspetto della riflessione di Ildegarda da riscoprire in Occidente?
«Un aspetto da riscoprire è la visione unitaria della realtà che attraversa la sua riflessione. La sua teologia, radicata nell’esperienza mistica, non oppone spirito e materia, fede e ragione, ma li riconduce a una circolarità vitale che riflette l’armonia divina. In un’epoca come la nostra, segnata da fratture – tra corpo e anima, natura e tecnica – Ildegarda ricorda che la creazione è un organismo vivente, un tessuto di relazioni animate dallo Spirito. Riscoprire questa visione significa ritrovare un pensiero ecologico e teologico insieme, capace di coniugare scienza, spiritualità e cura del mondo. L’Occidente, spesso prigioniero di una logica dell’opposizione e del dominio, avrebbe molto da imparare da Ildegarda: un sapere che unisce, guarisce e riconduce l’essere umano alla vocazione di custode della vita».
Come si articola il pensiero sulla donna elaborato da Ildegarda?
«Ildegarda elabora una teologia della differenza come reciprocità, in cui maschio e femmina sono due modalità complementari dell’unico homo creato a immagine di Dio. Nella sua interpretazione della Genesi, la donna costituisce lo specchio rivelatore dell’uomo: è in lei che Adamo riconosce se stesso e la propria umanità. Questa prospettiva fonda una visione relazionale della persona, secondo cui nessuno dei due sessi può raggiungere la pienezza senza l’altro. Ildegarda interpreta la fragilità fisica della donna come energia più sottile e forza generativa, segno di una partecipazione speciale alla potenza creatrice di Dio. La donna è icona della fecondità spirituale: colei che umanizza l’uomo, lo accompagna nella relazione. In lei si manifesta il volto materno di Dio e la possibilità di una Chiesa che genera e custodisce».