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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (28 novembre 2025)
  • La piccola Chiesa turca alla prova del viaggio di Papa Leone XIV

    da Istanbul Francesco Muratori

    Per padre Paolo Pugliese, cappuccino a Yesilkoy, la visita del Papa in Turchia e Libano è un richiamo potente alle radici di Nicea e alla responsabilità, anche scomoda, di restare come “piccolo gregge” in un Medio Oriente lacerato, ma ancora capace di futuro.

    Una missione ai confini di Istanbul

    Nato a Buenos Aires e cresciuto a Roma, oggi padre Paolo Pugliese è frate cappuccino nella periferia europea di Istanbul, nel quartiere di Yesilkoy, nell’ultima chiesa sul versante occidentale della città, edificata nel 1881 accanto all’antico Istituto Apostolico d’Oriente che formava i missionari per l’Impero ottomano. Qui vive in una piccola comunità di tre frati, con un sacerdote di Milano, al servizio di un “piccolo gregge” di cristiani e di quanti chiedono di conoscere la fede.

    «Io sono un frate cappuccino, quindi sono chiamato ad avere una relazione seria con il Signore e poi, se da questo succede qualcosa, lo lasciamo succedere», sintetizza così la sua missione, mettendo al centro la relazione con Dio più che i progetti. L’attività più significativa, racconta, è “introdurre il cristianesimo a persone che vogliono diventare discepoli di Gesù”, un flusso costante di uomini e donne attratti dalla “sapienza del Cristo” in un contesto a maggioranza musulmana.

    Vivere da minoranza nel mosaico turco

    A Istanbul i cattolici sono «pochi, piccoli» e proprio per questo, osserva il frate, «ogni pezzetto ha una certa importanza». La loro esistenza quotidiana è quella di una minoranza straniera, che tuttavia si sente parte di un mosaico plurisecolare di popolazioni e comunità religiose diverse, tipico della storia turca. Il confronto con la maggioranza musulmana avviene «dal barbiere al pescivendolo, al vicino di casa», fino agli operai che in questi giorni lavorano al tetto della chiesa: relazioni semplici, concrete, che «ti fanno scoprire l’altro come altro da te, come uomo, come persona» e «aprono gli orizzonti». Non è un idillio, ma una scuola quotidiana di convivenza, dove il dialogo passa prima per la normalità che per i grandi eventi.

    Il viaggio del Papa tra Ankara, Iznik e Beirut

    In questo scenario arriva il primo viaggio apostolico di Papa Leone XIV in Turchia e in Libano, dal 27 novembre al 2 dicembre, con tappa ad Ankara, Istanbul, Iznik (l’antica Nicea) e poi Beirut. Per la piccola comunità cattolica, la presenza del Pontefice tra Istanbul e Ankara è «molto importante» perché fa sentire «che siamo importanti per quel mondo» e non solo una presenza marginale tra altre minoranze e maggioranze.

    Il pellegrinaggio a Iznik, in occasione del 1700° anniversario del primo Concilio di Nicea, è per padre Paolo un segno «potente» che riaggancia la Chiesa di oggi alla preziosità di terre che hanno visto Paolo, Giovanni, Maria, Filippo, i primi concili e tanti padri della Chiesa. Ma è anche un gesto ecumenico decisivo: «Questo viaggio è molto importante, tesse legami, relazioni» e rimanda al tentativo di una comunione fondata su «quell’uomo Gesù che Nicea riconosceva come Figlio di Dio».

    Tra martirio, Pasqua e fedeltà che resta

    La missione in Turchia non è priva di ferite. Padre Paolo ricorda il suo arrivo nel 2009, la fatica di imparare una lingua nuova e di spiegare, in contesto islamico, che cosa significhi essere frate, e il trauma dell’uccisione nel 2010 di monsignor Luigi Padovese, cappuccino lombardo, e di don Andrea Santoro, sacerdote martirizzato a Trabzon nel 2006. «Sono stati momenti scomodi, sfidanti», che però sono diventati «occasioni molto potenti di ricentrarmi», spiega, ripensando l’Eucaristia come invito a «dare la vita in memoria di Gesù».

    Non indica un singolo versetto come sostegno, ma il cuore della fede: «La Pasqua è il centro di tutto… non si può non passare dalla Pasqua», perché la presenza di Dio è «nel morire per risorgere». Guardando alle antiche comunità cristiane del Medio Oriente, sottolinea la loro fedeltà: «Sono rimasti», custodi di tesori, lingue e tradizioni, come i siriaci che ancora oggi parlano una variante dell’aramaico, segno di una testimonianza «fedele e silenziosa fino alla fine».

    Il “primo passo” e lo sguardo di Strada Regina

    Alla domanda su cosa significhi costruire ponti, padre Paolo sceglie due parole: «primo passo». «Nella logica di Gesù la reciprocità non c’è», afferma; quando ci si mette nell’ottica dello scambio, «umanamente comprensibile», si rischia di tradire il Vangelo: il discepolo è chiamato ad avviare, ad iniziare «senza aspettare risultati né reciprocità». In questo senso anche il viaggio di Leone XIV in Turchia e Libano può essere letto come un grande “primo passo” verso la pace in Medio Oriente e l’unità tra i cristiani, a patto che produca un cambiamento interiore nelle comunità locali, una «presa di coscienza maggiore della loro importanza e della loro bellezza».

    Persino l’ipotesi della scomparsa del cristianesimo dal Medio Oriente non lo spaventa del tutto: «Non può scomparire, credo», perché il Vangelo viaggia «sulla logica del granello di senape e del chicco di sale»; possono venire meno edifici e strutture, ma «basta una persona che crede in Cristo e il cristianesimo è vivo». È in questo intreccio di fragilità e speranza che si inserisce il racconto televisivo di Strada Regina, che andrà in onda sabato alle 18.35 su LA1, portando nelle case svizzere la voce di padre Paolo, di una cena “particolare” e le immagini del primo viaggio apostolico di Papa Leone XIV in Turchia e in Libano.

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