di André Marie Jerumanis*
Papa Leone XIV è pontefice ormai da quasi due mesi. Come possiamo valutare le sue prime parole e i suoi primi gesti? Non c’è dubbio che le prime settimane da Papa, hanno suscitato entusiasmo non solo nel mondo intero, ma anche in tutta la Chiesa. I cattolici più tradizionali hanno apprezzato la sua attenzione alla liturgia, il suo invito presso il corpo diplomatico ad investire «sulla famiglia basata su un’unione stabile tra un uomo e una donna», mentre tra coloro che sono più sensibili alla liturgia antica esiste una speranza prudente di ammorbidimento della “Traditiones Custodes”; i cattolici più riformisti hanno messo in evidenza la sua volontà di continuità nelle linee principali del pontificato di Francesco, dall’attenzione ai più poveri alla fino alla sinodalità.
A prima vista, possiamo dire che Leone sembra unire valori tradizionali espressi dal suo modo di vestirsi, dall’uso del latino in alcune preghiere, con uno sguardo sociale e moderno, basta pensare alla scelta del nome indicatore della volontà di portare avanti la dottrina sociale della Chiesa, tenendo conto delle sfide attuali dell’intelligenza artificiale. Leone ha ugualmente manifestato uno stile pastorale che vuole conciliare la dottrina e il dialogo, invitando a costruire ponti, e ricordando che la Chiesa ha le braccia aperte a tutti. Sono particolarmente indicative del suo modo di intendere la comunità ecclesiale, le prime parole pronunciate dalla loggia il giorno della sua elezione: «Dobbiamo cercare insieme come esserci una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta ad accogliere, come questa piazza, con le braccia aperte a tutti, tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, della nostra presenza, del dialogo e dell’amore».
Il Papa è un camaleonte?
Alcuni si sono domandati se papa Leone non si presenti un po’ come un camaleonte, capace di concedere qualcosa a ciascuno dei diversi poli della Chiesa, a dipendenza di quello che loro desiderano. Certo, è un modo di leggere il primo periodo del pontificato, ma che non rende conto del suo intento profondo, del suo essere proprio e del suo modo di comprendere la Chiesa. È lui stesso ad offrire una ermeneutica corretta della successione e del suo modo di intendere il ministero petrino.
Il riferimento a Paolo VI, a Francesco, a Leone XIII sono indicazioni forti e fanno parte del modo di seguire le orme dei predecessori. Fanno parte di questa ermeneutica della continuità le sue parole, il giorno dopo l’elezione, quando chiese ai cardinali di riaffermare il loro pieno sostegno al Concilio Vaticano II.
L’eredità di Francesco
Il Papa si è riferito anche al suo predecessore proponendo «alcuni aspetti fondamentali» dall’Esortazione apostolica di Francesco, «La gioia del Vangelo», che ha elencato nell’ordine: «il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio; la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana; la crescita della collegialità e della sinodalità; l’attenzione al sensus fidei, soprattutto nelle sue forme più autentiche e inclusive, come la pietà popolare; l’attenzione amorevole agli ultimi e a chi è rimasto indietro; il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue diverse componenti e realtà». I suoi interventi successivi non fanno che confermare questa linea di interpretazione del pontificato. Basta rivedere l’incontro con i media ai quali ha chiesto di disarmare le parole, di essere attenti alla verità, ma anche il suo richiamo frequente alla pace in una contesto di guerra mondiale a pezzi, pace che è stata tra le prime parole del suo primo discorso. Non possiamo non prendere in considerazione il suo discorso presso il corpo diplomatico, nel quale ha insistito sulla dignità delle persone «specialmente quelle più fragili e indifese, dal nascituro all’anziano, dal malato al disoccupato, sia esso cittadino o immigrato».
Questa ermeneutica della successione ci è anche suggerita dalle parole del cardinale Czerny: «Abbiamo scelto bene, sono certo che Bergoglio sarebbe contento di Leone…Un Papa eredita sempre quello che il suo predecessore ha fatto e lo porta avanti a modo suo. In questo senso c’è continuità e innovazione».
*docente alla FTL e membro della Pontificia Accademia di Teologia