Il Natale richiama un fatto semplice ma essenziale, cioè che Dio non è rimasto invisibile in cielo ma è venuto sulla Terra e si è fatto uomo. Il 25 dicembre si celebra «la vicinanza di Dio»: Egli è sempre stato vicino al suo popolo ma quando si è incarnato è diventato «vicinissimo», afferma Papa Francesco. Per addentrarci un po’ di più nel mistero di questa festa critiana abbiamo rivolto alcune domande al vescovo di Lugano.
Mons. Valerio Lazzeri, il Natale è anche il tempo degli affetti e della convivialità. Qual è il suo ricordo personale più bello legato a questa festa? «Non ho un ricordo legato a un episodio particolare. Nel mio cuore ci sono dei bagliori di emozione legati a momenti in cui la grande modestia del quadro esteriore – la celebrazione semplice nella chiesetta di Motto, con le sue bellezze rovinate dal tempo, la presenza di volti cari ma non così abituali in casa, il profumo dell’abete e del muschio, la tavola un po’ più ricca ma senza eccessi – si è improvvisamente illuminato da dentro, lasciando trasparire un fascino segreto. I ricordi oggi importanti sono quasi sempre dettagli secondari di quel che è capitato, che rimangono dentro in maniera sorprendente e del tutto imprevedibile».
Qual è la sua chiave di lettura dell’attesa, fa tta di luci e colori, che si percepisce in questi giorni di festa nei nostri paesi e città? «Per carattere, non sono portato alle nostalgie. Non ho mai pensato al passato ritenendolo migliore del presente. Il tempo che viviamo ci appare complesso e pieno di contraddizioni. Mi chiedo però se quelli che sono venuti prima di noi non hanno vissuto allo stesso modo l’epoca che oggi siamo portati a rimpiangere. Oggi la grande sfida è quella di riuscire a riconquistare personalmente un po’ di lentezza e di distacco rispetto a tutto ciò che ci viene imposto dall’esterno. Credo che lo sfruttamento commerciale del Natale non debba essere semplicemente l’oggetto della nostra disapprovazione. Va letto in primo luogo come l’espressione del terribile vuoto che ci sentiamo dentro e ci spinge a cedere alle varie proposte esterne di riempimento artificiale. La sofferenza del cuore umano non viene certo placata dalle cose che si vendono e si comprano, ma è anche il segnale sicuro che siamo fatti per il Mistero grande e infinitamente buono che, nella nascita di Gesù, continua a esserci gratuitamente offerto».
Papa Francesco ha scritto una lettera apostolica sulla bellezza e la necessità del presepe. Lei cosa ne pensa? Come è il presepe del vescovo? «Il presepe non è soltanto una cosa da guardare e da apprezzare per la sua fattura più o meno preziosa e artistica. Papa Francesco, in linea con la più pura intuizione portata avanti da Sant’Ignazio, ne ha giustamente colto il suo valore di “esercizio spirituale”, di composizione immaginativa del “luogo” sempre storico, concreto, singolare, in cui Dio ci viene incontro in Cristo. È vero che il riferimento della Lettera Apostolica è il primo presepio vivente allestito da San Francesco di Assisi a Greccio, ma è altrettanto vero che è proprio del primo Papa gesuita della storia proporre questo “segno mirabile” come maniera perfettamente adeguata, nella nostra epoca disincantata e stanca di tutti gli artifici, per scoprirci con semplicità contemporanei dell’evento del Natale. Il mio presepio è molto semplice ed essenziale. È costituito dal nucleo della natività, che mi è stato regalato da un amico napoletano. Mi piace lo stile tradizionale, ma ammiro molto anche le interpretazioni più ardite!»
In quali luoghi ha pensato di celebrare delle S. Messe natalizie o fare delle visite? «Per un vescovo, mi sembra giusto che le celebrazioni natalizie siano in Cattedrale, la chiesa madre della diocesi. Questo però non significa che in questo periodo non sia chiamato a rendermi presente in vari contesti per portare una parola di vicinanza e di augurio. Il giorno stesso di Natale, prima di andare un po’ in famiglia, avrò l’occasione di portare un saluto a un pranzo comunitario offerto alle persone in cerca di una compagnia più calda e ampia in cui vivere la festa. Vado ogni anno a celebrare anticipatamente il Natale all’OSC di Mendrisio, ma anche in altri luoghi dove l’evento della nascita di Gesù è accolto con una spontaneità, una freschezza e un’intensità, che aiutano anche me a viverlo diversamente».
Come vivere un Natale più solidale, più vicino a chi attraversa momenti di fatica, malattia o solitudine? «Non credo che la dimensione solidale del Natale debba essere assicurata con attività aggiunte lateralmente. Non mancano le iniziative di generosità di tutti i tipi, dalle offerte a progetti missionari o di aiuto al posto dei regali, alle varie forme di volontariato. Si tratta di modalità d’impegno lodevoli, da proporre e da incoraggiare. Occorre però guardarsi dai sentimentalismi o dalle generosità più utili a chi dà che a chi riceve e che spesso si esauriscono nell’arco di poche ore. In realtà, solo un Natale vissuto nella calma e nel silenzio, assaporando nel cuore la bellezza autentica di quanto viene annunciato, può diventare il tempo prezioso in cui riaccendere il coraggio per i gesti più forti, l’audacia degli impegni più radicali e la dedizione più fedele e perseverante a chi soffre e ha bisogno, in casa nostra e nel mondo».
Dopo le prime tappe della sua visita pastorale, i tanti incontri avuti, chi serba nel suo cuore di Vescovo in questo Natale a partire dalla sua esperienza? «Può sembrare ovvio, e forse anche un po’ retorico, ma coloro che mi rimangono più nel cuore sono i “piccoli” secondo il Vangelo: coloro che ci ricordano che siamo tutti portatori di un mistero di fragilità e di vulnerabilità, dove si manifesta la vera potenza di Dio, i malati, gli anziani, i diversamente abili, i bambini. Quanto abbiamo bisogno di ascoltare dalle loro esperienze, spesso senza voce e senza parole, il Vangelo di Gesù, Figlio di Dio nato da Maria! La speranza di poterci convertire e di cominciare a vivere veramente è racchiusa nell’incontro con la debolezza!»
Federico Anzini