«Spero che l’incontro di Bari sia per i partecipanti anche una specie di ritiro spirituale. L’occasione per un esame di coscienza, personale e ecclesiale». Padre Jacques Murad, monaco siriano della comunità di Deir Mar Musa, affida a Vatican Insider le attese e le considerazioni – condivise coi fratelli e le sorelle della sua comunità- rispetto alla giornata di preghiera e riflessione sulla situazione del Medio Oriente, convocata per domani 7 luglio da Papa Francesco. Quell’incontro – è convinto padre Jacques - non potrà essere una semplice passerella di buone intenzioni. Perché le domande e i problemi che incalzano il presente e il futuro delle comunità cristiane sparse in Medio Oriente chiamano in causa il cuore stesso della missione della Chiesa e del suo essere del mondo.
Il sacerdote e religioso siro-cattolico, nel maggio 2015, fu prelevato dal santuario di Mar Elian dai miliziani jihadisti dello Stato Islamico (Daesh). Lo tennero segregato per mesi, riportandolo poi nella sua città di Quaryatayn, dopo averla conquistata, insieme a altre centinaia di cristiani che come lui avevano sottoscritto con lo Stato islamico il “Contratto di protezione”. Anche quella esperienza ha confermato in lui l’intuizione che la missione propria dei cristiani d’Oriente non può tagliar fuori la loro relazione e la loro comunanza di destino con la moltitudini dei concittadini di fede musulmana. E che dopo i conflitti e le violenze, i cammini di vera riconciliazione possono partire solo dal perdono reciproco, e non dalle recriminazioni o da un generico “serrate le file” tra i cristiani.
Cosa conviene fare? Da dove si può cominciare?
«Conviene chiedere che quella dei cristiani in Medio Oriente sia una presenza evangelica, secondo quello che Gesù stesso ci ha insegnato. E la prima cosa è implorare il dono di perdonare e di chiedere perdono. Chiedere perdono a Dio anche per gli altri, come ha fatto Gesù, quando ha chiesto al Padre di perdonare quelli che non sanno quello che fanno. Solo da lì può venire la vera riconciliazione».
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