reportage di Luca Steinmann
«Santa Caterina è un monastero di pace. Un luogo sacro per cristiani, musulmani ed ebrei, dove negli ultimi 1500 anni abbiamo ininterrottamente preservato riti e preghiere ». Padre Michaìl parla con calma e misura, scegliendo ogni parola con la prudenza di chi sa di stare affrontando un tema delicato. Originario di Creta, è un uomo alto, con capelli e barba lunghi e neri come la tonaca che gli scende fino ai piedi. Da molti anni si è stabilito in Egitto dove, insieme a un’altra trentina di monaci greci, vive e si prende cura di Santa Caterina, l’antico monastero sorto sui luoghi dove la Bibbia racconta che Dio per la prima volta si manifestò a Mosè – figura alla quale tutte e tre le grandi religioni monoteistiche sono devote.
Luogo di incontro tra fedi diverse
Per questo, Santa Caterina è stato per secoli luogo di incontro e convivenza tra le diverse fedi, sviluppando le tradizioni millenarie di cui parla padre Michaíl. Queste, però, rischiano oggi di venire irrimediabilmente compromesse dalla trasformazione del monastero in meta di turismo di massa, come previsto da un piano di riqualificazione della regione promosso dal governo egiziano. Una prospettiva che sta generando la dura opposizione dei monaci e una vera e propria crisi diplomatica internazionale.
Il monastero si trova nel cuore del Sinai, la regione desertica egiziana crocevia – oggi come duemila anni fa – di popoli, merci e grandi interessi geopolitici. Racchiusa tra il Golfo di Suez, Israele e Gaza, la regione confina all’estremo occidentale con Rafah, unico valico per accedere dall’Egitto alla Striscia. Duecentocinquanta chilometri più a sud, la sabbia termina lungo le coste del Mar Rosso, occupate da interminabili file di resort.
Per raggiungerlo bisogna lasciarsi alle spalle i villaggi turistici e percorrere per ore strade desertiche circondate da sabbia e colline rocciose e incontaminate. Del loro stesso colore chiaro è il monastero, situato nel mezzo di una stretta gola racchiusa tra scoscese montagne: da un lato il Monte Sinai, dall’altro quello di Santa Caterina, da cui prende il nome. La struttura è rettangolare, con imponenti mura di pietra che circondano il chiostro e la grande cupola, sul cui tetto sventola una bandiera gialla raffigurante un’aquila – simbolo del patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme che gestisce il complesso.
Sorto intorno al «roveto ardente»
Padre Michaíl attende i visitatori all’ingresso, una bassa apertura che attraverso le mura conduce al chiostro.
Qui, nel suo centro, sotto il sole cocente, fiorisce un grosso e fitto cespuglio, spinoso, privo di fiori e apparentemente di particolarità. Intorno ad esso, però, è orientata tutta l’architettura circostante. «Questo è il roveto ardente» spiega, «qui Dio parlò per la prima volta a Mosè».
Il Libro dell’Esodo racconta che Mosè, imbattutosi in questo arbusto in fiamme dal quale tuttavia non veniva consumato, ricevette l’ordine da Dio di liberare gli ebrei ridotti in schiavitù dal faraone egiziano e di guidarli poi verso la Terra Promessa. Fu sempre qui, ai piedi del Monte Sinai, che il popolo ebraico passò durante la fuga e dove Dio rivelò a Mosè i Dieci Comandamenti. Intorno al roveto ardente sorse, nel VI secolo, il monastero di Santa Caterina, affidato alla Chiesa greco-ortodossa.
La sacralità trasversale conferita a questo luogo dal retaggio di Mosè (che oltre che nella Bibbia è citato 130 volte nel Corano) lo ha risparmiato da distruzioni e saccheggi durante le ripetute occupazioni degli ultimi millenni: da quelle arabe – il monastero aveva ricevuto una lettera di protezione dallo stesso Maometto – a quella israeliana, dal 1967 al 1979. Oggi, però, la sacralità di Santa Caterina rischia di essere compromessa non da invasioni, ma dal turismo di massa.
Il rischio della «Grande Trasfigurazione»
Tutto è iniziato nel 2021, quando il governo egiziano ha inaugurato il progetto «Grande Trasfigurazione», che prevede la trasformazione di questa parte del Sinai in una località turistica con hotel, eco-lodge, un grande centro visitatori, aeroporti e funivie. Lo scorso maggio, un tribunale egiziano ha deciso di rilanciare l’attrazione turistica stabilendo che Santa Caterina sorge su un terreno di proprietà dello Stato e che i monaci dispongono soltanto di un «diritto d’uso» del suolo. Quello che segue: intorno possono partire le costruzioni. L’obiettivo: raggiungere i 30 milioni di visitatori entro il 2028. La trasformazione del sito in destinazione di massa turistica rischia così di modificare radicalmente la vita dentro ed intorno al monastero. Il silenzio assoluto che oggi lo avvolge rischia di venire coperto dal rumore portato dai turisti e dalle strutture ricettive. Così rischia di essere alterata non solo l’identità locale, ma il messaggio globale di convivenza che quel luogo veicola.
Una «minaccia esistenziale»
Camminando per i chiostri e le cappelle, Padre Michaíl evita di parlare di politica e di questo progetto. Qualsiasi cosa accada, racconta, lui resterà lì a vivere e pregare – cosa che, assicurano le autorità egiziane, tutti i monaci potranno continuare a fare. Non tutti, però, la pensano come lui. L’arcivescovo Damianos, da lungo tempo alla guida del monastero, si è dimesso definendo il progetto «un colpo grave per noi e una vergogna». Secondo l’arcivescovo Ieronymos II di Atene, capo della Chiesa di Grecia, «la proprietà del monastero viene confiscata ed espropriata. Questo faro spirituale dell’Ortodossia e dell’Ellenismo si trova ora ad affrontare una minaccia esistenziale».
Per il momento i lavori non sono ancora iniziati. La gola e i monti restano intatti, immersi in un silenzio quasi sacro. Solo qualche beduino a dorso di cammello attraversa lentamente le vallate, unici abitanti – insieme ai monaci – di queste terre aride e luminose, dove il tempo sembra essersi fermato. Monaci e beduini condividono la stessa attesa silenziosa, consapevoli che il loro destino dipende da decisioni prese altrove, lontano dal deserto e dalla quiete del Sinai.
Perché il progetto che minaccia Santa Caterina non riguarda soltanto la conservazione di un luogo di fede: tocca gli equilibri politici e geopolitici di un’intera regione, quella mediorientale, e lo scontro che ruota attorno al monastero supera di molto i confini dell’Egitto.
La Grecia è stata la prima a reagire. Il governo di Atene ha chiesto al Cairo garanzie sul futuro del monastero e sulla permanenza dei monaci, considerandolo parte integrante del patrimonio ellenico e ortodosso. Per la Chiesa di Grecia, la questione non è soltanto spirituale: è identitaria, e riguarda la capacità di Atene di proiettare la propria influenza culturale e religiosa in questa parte del mondo.
Preoccupazioni anche dall’UNESCO
Anche l’UNESCO si è detta preoccupata. Santa Caterina, ha ricordato l’organizzazione, rappresenta uno dei rari esempi di «intercambio unico di valori umani» tra le tre grandi religioni monoteistiche. Per questo ha chiesto all’Egitto – finora senza esito – di sospendere i lavori e di presentare un piano di conservazione. Nel luglio scorso, World Heritage Watch ha rilanciato l’allarme, sollecitando il Comitato del Patrimonio Mondiale a inserire l’area nella Lista dei Siti Patrimonio dell’Umanità in Pericolo.
Pur assicurando che il progetto «Grande Trasfigurazione» avverrò sotto stretta tutela e nel pieno rispetto della sacralità del sito, il governo egiziano sta mantenendo la sua posizione originaria e non intende rinunciare all’opera. Per il Cairo la riqualificazione di Santa Caterina in chiave turistica tocca interessi economici e geopolitici di vitale importanza. Il Sinai è una regione chiave per l’Egitto, tanto dal punto di vista strategico quanto da quello economico. Crocevia di rotte antiche e teatro di conflitti moderni – con una rilevante presenza di gruppi armati jihadisti nascosti lungo in confine con Israele –, il Sinai è una terra fragile e strategica. Controllarla significa consolidare la sovranità dello Stato in un’area percepita come instabile, ma anche rilanciarne l’immagine internazionale. Dopo anni di rivolte, attentati, crisi economiche, cambi di regime e pandemia, l’Egitto cerca nel turismo una via di riscatto, un motore di rinascita capace di riportare valuta, lavoro e fiducia.
In questo senso, la «Grande Trasfigurazione » è più di un semplice progetto di riqualificazione: è una prova di forza, un banco di credibilità per il Cairo. L’obiettivo è attrarre nuovi flussi di visitatori e pellegrini, presentando al mondo un Egitto moderno, stabile e capace di coniugare progresso e fede. Ma dietro la promessa del rinnovamento si nasconde una sfida sottile: dimostrare che lo sviluppo non debba necessariamente tradursi in cancellazione del passato.
Oggi, tra le montagne del Sinai, il tempo sembra sospeso. I monaci pregano intorno al Roveto Ardente, i beduini attraversano lentamente le gole e tutti si pongono la grande domanda: fino a che punto si può toccare un luogo sacro senza comprometterne la spiritualità? L’Egitto promette una trasformazione nel rispetto della fede. Ma nel deserto, dove ogni suono risuona amplificato, la promessa dovrà dimostrare di essere mantenuta. Ed in molti sono preoccupati.