Quando una persona cara muore, nella tradizione ebraica una delle frasi che esprime vicinanza ai parenti e amici è: «Che la sua memoria sia una benedizione».
Coltivare il dialogo tra arabi e ebrei
Vivian Silver, nata in Canada nel 1949, si è trasferita in Israele nel 1974. Da sempre impegnata su temi di giustizia, andò ad abitare nel kibbutz Be’eri, accanto a Gaza, nel 1990. Nel corso degli anni ha stabilito rapporti di vicinanza e amicizia con le comunità beduine della zona e palestinesi a Gaza e nel resto dei territori. Il suo nome è legato a tante iniziative e centri dedicati alla convivenza fra arabi ed ebrei, in particolare fra donne, non da ultimo il Centro arabo-ebraico per il rafforzamento, l’uguaglianza e la cooperazione da lei co-fondato insieme ad Amal Elsana Alh’jooj e vincitore del premio Victor J. Goldberg per la Pace in Medio Oriente nel 2010. Il 7 ottobre 2023 Vivian è stata uccisa nella sua casa nel kibbutz Be’eri. E, in questa tragedia, chi porta avanti la sua memoria sta contribuendo a fare in modo che diventi una benedizione.
Il sogno di un futuro di buon vicinato
«Molti di noi conoscevano bene Vivian» scrivono Ghadir Hani e Dror Rubin, due attivisti che hanno voluto dare vita a un libro intitolato Women Write Hope (Donne scrivono la speranza). «Alcuni di noi hanno visitato la sua casa e bevuto tè nel suo bellissimo giardino. Lì, così vicini al confine fra Israele e Gaza, abbiamo discusso piani e sogni di un futuro di relazioni di buon vicinato tra i popoli. Siamo sicuri che Vivian non avrebbe voluto che affondassimo nella disperazione e nel dolore». E così è nato questo libro che racconta le storie di 21 donne che lavorano in modi e luoghi diversi per la pace. Ci sono donne ebree ed arabe (cristiane e musulmane), alcune religiose altre no, di ogni età, non necessariamente le voci più note ma ognuna porta il proprio contributo. L’idea era quella che donne intervistassero altre donne per agire un pò come delle levatrici: permettere alle loro storie di venire alla luce. Mimi Shefer, ebrea israeliana, ad esempio, intervista nel libro Hanan El Sana, avvocato e direttrice del Centro per i diritti delle donne beduine che racconta come il 7 ottobre fu la prima volta, dopo tanti anni di lavoro per la pace, in cui sentì che la pace era impossibile. E, da là, la reazione. «Ho trasformato la mia paura e frustrazione in azione e lavoro», racconta Hanan che mise in piedi nei giorni dopo il 7 ottobre a Rahat (cittadina in Israele accanto al confine con Gaza), insieme a Shir Nosatzki, un centro arabo-ebraico per sostenere le famiglie. «La gente pensava che fossimo matte ma quando abbiamo lanciato un appello per volontari […] oltre 400 persone si sono candidati fra ebrei ed arabi».
Imprenditori sociali e attivisti per la pace
Ghadir Hani e Dror Rubin, i due coordinatori di questo progetto editoriale che ha vinto il Premio per la Pace del Lussemburgo nel 2025, sono entrambi imprenditori sociali e attivisti per la pace. Una donna e un uomo, una musulmana e un ebreo, entrambi vivono in Israele ma appartenenti a comunità diverse. Tuttavia il desiderio che hanno e il cammino che vedono per raggiungerlo li rendono profondamente vicini. La presenza di un uomo in un progetto al femminile fa parte dei segni di speranza che vengono seminati e viene spontaneo chiedere a Rubin come mai abbia scelto questo cammino. «Mi viene chiesto spesso, e giustamente. Credo che non sia tanto una questione di genere quanto piuttosto di mentalità: pensiamo in modo forte e dominante o con un approccio morbido e che facilita il dialogo? Nella realtà attuale in cui la leadership è spesso maschile e tende verso uno stile forte, ho cercato di rafforzare e collaborare con chi esprime uno stile di leadership diverso, uno stile con cui le donne più spesso si identificano: morbido e facilitante». Rubin ha dedicato tanti anni al lavoro nelle città miste in Israele, dove ci sono cittadini ebrei ed arabi e i momenti difficili non sono mancati, ben prima del 7 ottobre 2023. «Sia a livello personale che professionale, già le violenze tra ebrei e arabi nel maggio 2021, hanno rappresentato un punto di rottura nel mio lavoro. Soprattutto perché le violenze sono scoppiate proprio nella zona in cui avevo investito così tanti sforzi. La sensazione era che il lavoro di una vita stesse andando in fumo», confessa l’attivista. «Tuttavia — continua — ho scelto di andare avanti, non per disperazione o negazione della realtà, ma perché ho capito che, purtroppo, la strada è ancora lunga e le difficoltà e le crisi fanno parte di questo percorso».
L'impatto della guerra
In questa nuova fase dei colloqui dopo due anni di guerra, abbiamo chiesto a Ghadir Hani, membro attivo di varie organizzazioni che agiscono sul campo per i processi di dialogo fra israeliani e palestinesi, uno sguardo sull’oggi da parte di chi conosce profondamente e da vicino gli sforzi sul campo. «La sfida principale ora è l’impatto della guerra su entrambe le popolazioni, israeliani e palestinesi, la paura, l’odio, la mancanza di fiducia, l'impatto dei traumi che entrambe le società stanno affrontando, in particolare tra i giovani». Accanto a questo ci sono però anche opportunità da accogliere, altri semi di speranza che lo sguardo delle donne le cui storie sono raccontate nel libro Women Write Hope invitano a vedere. «L’opportunità principale deriva dalla consapevolezza che speriamo si diffonda: che nemmeno due anni di combattimenti e di guerra crudele hanno aiutato in alcun modo né la lotta palestinese per l'indipendenza né il bisogno di sicurezza di Israele», commenta Hani. «Da questa devastante lezione potremmo capire che dobbiamo trovare un'altra strada. E forse ora possiamo iniziare a parlare di riconciliazione. È un processo lento — conclude Hani — ma quale altra opzione abbiamo?».
fonte: vaticannews