“La pace viene affrontando il male, non evitandolo, non restandosene in pace, ma vivendo il dolore dell’altro come il proprio”: a ricordarlo, il 14 giugno, celebrando la messa al Santo Sepolcro di Gerusalemme, è stato il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei. Il porporato sta guidando, in questi giorni, un pellegrinaggio di “pace e solidarietà” con 160 partecipanti provenienti anche da diverse città italiane. “Non c’è resurrezione senza restare sotto la croce, senza farsi interrogare personalmente, nelle viscere, dalla sofferenza”, ha detto Zuppi, rimarcando che “l’unico modo per affrontare il male è con l’amore, il solo che può sconfiggerlo. Solo così capiamo la scelta della pace e vediamo la luce che vince sulle tenebre, tradimento della vita”.
Citando le parole di Rachel Goldberg-Polin, la madre del giovane Hersh, suo unico figlio, da 252 giorni ostaggio di Hamas a Gaza, Zuppi ha ricordato che “il dolore di questa madre per il figlio si unisce a quello per i tanti innocenti che sono uccisi a Gaza. Solo se due dolori diventano un amore unico, solo se le lacrime sono tutte uguali troviamo la via della pace”. Per il cardinale questo significa “restare sotto la croce di Gesù”. “Bisogna restare perché non basta qualche consiglio a distanza per capire ed essere capiti – ha aggiunto Zuppi -. Essere sotto la croce fa la differenza e promuove davvero la pace. La luce della pace inizia solo così, capendo la tragedia del male, delle tante complicità, l’abisso di sofferenza con la sua storia antica e recente, ma sempre scegliendo che il suo dolore sia il mio. La risurrezione non appare senza la croce, bensì la include”. In questo cammino un ruolo fondamentale lo gioca la preghiera: “È dalla preghiera che inizia un nuovo modo di parlare, di conoscere, di capire la vita. Solo la preghiera ci libera dalla paura perché nella preghiera ci uniamo ad un amore che ha vinto il male e ci libera dall’odio. Possiamo dire ‘siamo per la pace’ solo se coloro che sono per la guerra non hanno potere su di noi e se non ci lasciamo prendere in nessun modo dalla folla che grida contro. Disarmiamo i nostri cuori – ha concluso -, puliamoli con le lacrime di chi soffre, per capire e scegliere la via della pace. Nella scelta non violenta, disarmata, ma di totale comunione e condivisione affidiamo tutta la nostra speranza per il futuro, scegliamo la sua via proprio come nell’ora delle tenebre Egli affidò il suo spirito nelle mani del Padre”.
Forti le parole del leader della Chiesa greco ortodossa di Antiochia, vero e proprio «manifesto» delle attese di tanti cristiani siriani
Il messaggio lancia un appello per la liberazione “degli ostaggi, dei prigionieri, il ritorno dei senzatetto e degli sfollati, la cura dei malati e dei feriti, il ripristino delle proprietà sequestrate o minacciate e la ricostruzione di tutte le strutture civili che sono state danneggiate o distrutte”.
Oggi, 12 dicembre, è la sua festa. La testimonianza di quanto la purezza del cuore possa far fiorire nel mondo la bellezza.