Il primo ministro del Qatar dà la notizia dell'accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Mohammed Al Thani ha confermato il rilascio di 33 ostaggi israeliani rapiti il 7 ottobre nella prima fase del tregua a Gaza.
Esplode la festa a Gaza dopo l’annuncio dell’accordo raggiunto tra Hamas e Israele, mediato da USA, Qatar ed Egitto. Molti palestinesi, riferiscono diverse agenzie, sono scesi in strada per festeggiare. Una folla di persone si è radunata fuori dall’ospedale al-Aqsa a Deir el-Balah, così come in altre zone dell’enclave palestinese. Gioia anche tra i circa 500 rifugiati nella parrocchia della Sacra Famiglia, l’unica cattolica della Striscia, come conferma al Sir il parroco, padre Gabriel Romanelli: “Qui a Gaza siamo tutti molto contenti. Ora la gente comincia a nutrire la speranza di ritornare nelle proprie case, per chi ancora le ha, e di capire cosa sia rimasto e come ricostruire e ripartire. Per tutti significa anche tornare a vivere senza l’incubo continuo di aerei, bombe, combattimenti e violenza. Tutti sperano nella tenuta della tregua anche se sappiamo che sarà un percorso molto lungo e complicato. All’annuncio dell’accordo abbiamo elevato la nostra preghiera di pace e domani mattina celebreremo una Messa di ringraziamento per la tregua, chiedendo pace per tutti gli operatori impegnati sul campo a garantire sollievo alla popolazione. Ringraziamo tutti quei milioni di persone che nel mondo si impegnano per essere chiamati figli di Dio”.
“All’ufficializzazione segua, adesso, anche la realizzazione. Voglio sperare che da domenica si comincino realmente a liberare ostaggi e prigionieri e che, da qui, prenda avvio un percorso, sicuramente lungo, di stabilizzazione per rendere Gaza nuovamente vivibile e, al tempo stesso, governabile”. Lo ha detto al Sir il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. “È importante che, in questa fase, i due contendenti non vengano lasciati soli. La Comunità internazionale, che ha brillato per la sua assenza in questi lunghi mesi di guerra, ora deve far capire a tutti che esiste ancora e che mantiene una capacità costruttiva”. Tuttavia, avverte padre Patton, “la tregua a Gaza non deve diventare il pretesto per fare della Cisgiordania una nuova Gaza”. Parole che suonano come un monito anche ai “gruppi radicali palestinesi attivi attualmente in Cisgiordania”, invitati a fare tesoro di quanto accaduto a Gaza in questi mesi di guerra. La speranza è che “l’effetto della tregua a Gaza abbia un risvolto positivo anche in Cisgiordania”. Il pensiero del Custode corre anche alle famiglie degli ostaggi israeliani: “L’accordo può essere un’apertura alla speranza dopo lunghi mesi di tentativi vanificati di liberare queste persone. Ma – precisa il frate – sarebbe il caso che le parti in causa, da questa vicenda terribile e dolorosissima, imparassero che non si può più andare avanti così, perché proseguire significherà aggiungere sofferenza alla sofferenza, paura alla paura e incertezza sul futuro all’incertezza sul futuro. Se si vuole garantire un futuro a tutti, l’unica via d’uscita è l’accettazione reciproca. Questo lo hanno detto anche le famiglie degli ostaggi, penso alla testimonianza di Rachel Goldberg-Polin, madre di Hersh, ostaggio ucciso durante la detenzione a Gaza, e molti pensatori che vivono in Israele. È la posizione realistica di persone che, nella sofferenza, hanno maturato un’idea diversa: dalla sofferenza condivisa e riconosciuta può venire una via all’accettazione reciproca”. Un aspetto importante dell’accordo riguarda gli aiuti umanitari da destinare alla popolazione di Gaza. Al riguardo, il Custode mette in guardia dal rischio che “gli aiuti diventino oggetto di saccheggi e ruberie compiute da bande armate. Per evitarlo è necessario dare a Gaza una qualche forma di governabilità, un minimo di struttura, sia amministrativa che di polizia. La popolazione – rimarca padre Patton – è allo stremo, per questo motivo bisogna che ci sia qualcuno che non solo permetta l’ingresso dei camion, ma che li accompagni e gestisca una distribuzione ordinata dei beni che i camion portano. In una fase del genere potrebbero essere le Nazioni Unite o corpi internazionali sul modello dell’Unifil in Libano, capaci di guadagnarsi la fiducia della popolazione e di evitare che la tregua venga sabotata da quelli che, da una parte o dall’altra, ancora non hanno capito che bisogna cambiare sistema”.
Agenzie/red
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