di madre Cristiana Dobner*
La ricca personalità del card. Charles Journet, come hanno dimostrato le opere scritte e le azioni nei tempi difficili della Shoah, è segnata da una peculiarità: la predilezione per Israele. Postura insieme teologica e umanamente vibrante.
Gli viene riconosciuto un merito teologico non indifferente; senza la sua riflessione teologica fondata sulla cristologia e sulla pneumatologica, avendo abbandonato il quadro apologetico, non sarebbe potuta venire alla luce la Costituzione dottrinale Lumen Gentium.
Non bisogna pensare l’abbé Journet come una sorta scienziato teologico sempre alla ricerca di nuove evidenze, quanto piuttosto riconoscerlo come uomo di profonda spiritualità, radicato nel Vangelo e sollecito nel contemplare i misteri divini.
Temperamento da lottatore, dovette affrontare incomprensioni anche dal suo stesso vescovo perché, rivelandosi come afferma G. Cottier, “un grande testimone della coscienza cristiana in questi anni di tenebre”, poneva problemi al governo e alle stesse direttive della Chiesa.
In frangenti storici in cui dominava il nazismo Journet osava affermare: “Ecco un odio istintivo, cieco, sinistro, si scatena sia contro la Chiesa sia contro la Sinagoga per lo stesso motivo: perché rappresentavano le due facce di luce e d’ombra di un unico mistero, quello del soprannaturale che entra, qualsiasi cosa facciamo, come una spina nella carne del mondo e, cadendo contemporaneamente sugli ebrei e sui cristiani, sembrava volere, in virtù della stessa crocifissione, riunirli per una qualche invisibile e futura riconciliazione”.
In quegli anni torbidi risplende la sua opera maggiore, relativamente al popolo ebraico, Les destinées d’Israël, che, già in apertura, è una denuncia nettissima firmata 30 settembre 1943: Alla gloria della Madre Ebrea del Figlio di Dio e dell’Apostolo delle genti, ebreo figlio di ebreo... per Raïssa Maritain a cui è stata dedicata la ristampa di La salvezza degli ebrei, per Vera Oumançov, per i miei amici e “figli” della razza più antica, chiare primizie della sua futura reintegrazione, per i credenti di Israele cristiani senza saperlo e per manifestare agli occhi cristiani l’esigenza del mistero della Chiesa nelle vicissitudini del mistero della Sinagoga.
L’audacia di tale dedica va misurata tenendo conto non del sentire e della posizione teologica odierna della Chiesa quanto del momento preciso storico in cui un semplice prete osava quanto i potenti della politica e della storia non osarono.
Nel suo saggio l’autore fa suo il grido lanciato da Leon Bloy nell’opera del 1892 Salut par les Juifs, riconoscendone la genialità e la sensibilità di fede, tuttavia, come sempre fece, procedendo criticamente e imponendo delle correzioni perché egli segue un altro metodo; solo così la teologia potrà ritrovarsi libera e comporre la sua risposta.
Chi si espresse così nitidamente allora? “Israele ci perdoni dunque i nostri errori, accusi un cuore dove troppo debolmente ha brillato la carità vasta e limpida della Chiesa”.
*relatrice al Convegno Charles Journet: una vita nella luce della verità
Le riflessioni di Dante Balbo e don Giuseppe Grampa.
Consulente per CSI, è in Ticino per raccontare come vive oggi il popolo siriano. Sarà presente questa sera all'oratorio della Collegiata di Bellinzona e domani mattina al Santuario di Morbio Inferiore. La sua testimonianza raccolta da catt.ch e Catholica.
Il dibattito di giovedì 27 marzo al centro Cittadella di Lugano con il prof. Massimo Faggioli e il prof. Adriano Fabris su politica e religione.