Dal Vangelo secondo Matteo 5, 1-12
"Per un'ecologia integrale Dio preferisce gli scarti"
Viviamo in un mondo in cui la cultura dominante a livello globale, anche laddove è diffuso il mito dei buoni poveri, semplici, accoglienti, generosi, sostiene che se non lavoriamo, se non siamo ricchi, siamo sbagliati, difettosi, da scartare. Questa è la mentalità che Francesco, il papa Gesuita tutt'altro che ingenuo, anche se parla con linguaggio accessibile, denuncia da anni, fuori e dentro la Chiesa. Questo è il tema delle letture della IV domenica del Tempo ordinario, in cui si tratteggia l'identikit del fedele, popolo di Dio. Il profeta Sofonia parla di un resto, di un piccolo popolo, umile e povero, fedele al Signore. Questi saranno a ereditare la promessa del Dio dei Padri, di Mosè e dei profeti. Questi sono coloro che riconoscono il Messia, povero e umile come loro, che viene senza clamore: sono pastori che non avevano diritti, sono anziani tollerati perché innocui, sono stranieri non credenti, guidati da un segno celeste. Quando Gesù, cresciuto e investito della sua missione, parlerà dell'identità del discepolo, sarà un elemento di rottura per il suo e per ogni tempo. Chi entrerà nel Regno di Dio è povero, umile, misericordioso, mite, affamato di giustizia, compassionevole, senza doppiezza. Sono coloro che non si lasciano incantare dalle promesse del prestigio, della ricchezza, del potere. Certo, spesso sono privi di tutto, ma l'assenza di queste cose non li avvelena. Chi non reagisce alla violenza, non si arrampica per un posto, non gode della disgrazia altrui, sembra un fallito, un inetto, uno che non otterrà mai niente nella vita. Eppure sono questi che il Signore chiama felici, beati, veri eredi della terra, considerati grandi nel Regno dei Cieli. Gesù, come il padre, predilige gli scartati, perché sanno fidarsi, sperare sempre, accogliere la vita come un dono, l'amore come un privilegio inaudito, la salvezza come l'unico modo di vivere.
Dante Balbo, dalla rubrica televisiva Il Respiro spirituale di Caritas Ticino in onda su TeleTicino e online su YouTube
"In ogni figlio una promessa di futuro"
Dal Vangelo secondo Luca, 2, 22-33
Dei lunghi anni di Gesù a Nazareth solo l’evangelista Luca riferisce il pellegrinaggio a Gerusalemme e il restare di Gesù nel Tempio, gesto che anticipa il senso della sua intera esistenza che sarà un grande viaggio a Gerusalemme, il luogo del dono incondizionato di sé. In questa pagina possiamo scorgere due caratteristiche della famiglia di Gesù. La prima: Giuseppe e Maria in quegli anni trasmettono al figlio con la lingua del Paese, gli usi della tradizione ebraica e tra questi l'annuale pellegrinaggio a Gerusalemme. La strada per Gerusalemme Gesù l'ha imparata camminando con Maria, Giuseppe e la carovana degli altri pellegrini. Quando, adulto, deciderà risolutamente di salire alla città santa luogo del compimento della sua esistenza, certo riconoscerà luoghi e percorsi conosciuti in questo primo viaggio quando ha appena dodici anni. Penso che primo compito della famiglia, dei genitori, sia quello di trasmettere ai propri figli con la vita i significati, i valori, le ragioni del vivere: è questo il lascito più prezioso di una generazione all'altra. Ma la pagina evangelica ci riserva una seconda sorpresa. Gesù resta nel Tempio e conferma questo gesto con una parola che è anticipazione del suo futuro: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Annota l’evangelista che né Maria né Giuseppe comprendono questa parola. Una annotazione che allude alla misteriosa identità di questo ragazzo. Ma in qualche misura ogni figlio, pur generato da quest'uomo e da questa donna, con il colore degli occhi di sua madre e il carattere di suo padre, pur così somigliante nei tratti del volto ai suoi genitori resta per loro una parola inedita e che non è dato di comprendere pienamente. C'è in ogni figlio una promessa di futuro, un sogno che non è dato di poter dominare. Ogni figlio custodisce una originale libertà che la famiglia può solo accogliere e accompagnare, un futuro che può essere decifrato solo negli occhi dei figli.
Don Giuseppe Grampa