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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (21 agosto 2025)
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  • Domenica della Parola. La prof.ssa Rosalba Manes: «Nel testo biblico c’è la relazione appassionata tra Dio e l’uomo»

    “Nella Bibbia troviamo descritti tutti i sentimenti del cuore umano” constata   Rosalba Manes, biblista e docente alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Siamo alla vigilia della “Domenica della Parola” indetta dal Papa per sottolineare il valore della Bibbia nella vita cristiana. 

    Professoressa Manes, da cosa dipende il fascino esercitato ancora oggi dal testo biblico?  

    Come dice la lettera agli Ebrei siamo davanti

    ad una “Parola viva, efficace (potente), tagliente” che nel suo stile narrativo

    e nelle sue affermazioni è capace di penetrare l’interiorità umana, di arrivare

    al cuore. Nei Salmi, in modo particolare, si incontra questa pluralità di

    sentimenti umani: il senso della tristezza, della gioia, la delusione, il senso

    dell’insuccesso, come se incontrassimo una descrizione, a tutto tondo, luci e

    ombre, della verità dell’uomo e della donna, comprese le loro fragilità. Allo

    stesso tempo, il fil rouge biblico è la descrizione di una relazione forte e

    appassionata tra Dio e l’uomo, una sorta di fedeltà “inossidabile” che si

    coglie anche in quelle pagine che manifestano la disapprovazione divina per gli

    atteggiamenti umani: in questo caso lo scopo della Parola di Dio è la

    ricreazione dell’alleanza d’amore che si è interrotta.

    I lettori potrebbero

    chiedersi, davanti a certi testi biblici, quanto è "Parola di Dio" e quanto

    è "parola dell'uomo"?

    Davanti a queste due espressioni c’è il rischio di essere

    indotti a credere

    che nella Bibbia ci sia una percentuale di “Parola di Dio” e una percentuale di

    “Parola dell’uomo”. In realtà esse esprimono la duplice natura del testo Sacro:

    la Bibbia è una comunicazione di Dio che però

    accade nella storia concreta e quindi attraverso un linguaggio comprensibile ed

    intellegibile, innanzitutto per i contemporanei dei testi e poi, per noi, oggi.

    Mi piace pensare alla Parola di Dio come ad una parola “missionaria”, che si

    incarna nel vocabolario e nella grammatica umana. È come se questa parola,

    questo messaggio, questo desiderio appassionato di Dio di parlare

    amichevolmente e con confidenza alla sua creatura, con intimità e amore,

    sperimentasse una sorta di processo di inculturazione attraverso un vocabolario

    e una grammatica umana, assorbendo così schemi, categorie, usi e costumi umani.

    Il vocabolario difficile e ostico che

    talvolta incontriamo, rientra quindi in questa dinamica di incontro tra Dio e

    l’uomo.

    Si incontrano, infatti,

    espressioni e vicende di violenza e guerra, che lasciano il lettore quantomeno

    perplesso…

    È vero che il testo biblico

    assorbe la passione per la guerra, tipica di una certa fase storica della

    civiltà. Di fatto è come se questa Parola di Dio dialogasse con la cultura umana

    sperimentando due fasi: l’adattamento, quindi il messaggio alto di Dio che si

    adatta a categorie, schemi, vocabolari, definizioni, parole chiave umane e al

    tempo stesso, adattandosi, mostra la facoltà di purificarle, di ammorbidire e

    ridare forma alle stesse.  

    Al tempo della rete tutti possono

    accedere a commenti online a testi biblici. Questo alimenta l’indipendenza ma

    anche un certo individualismo. Qual è il metodo migliore per avvicinarsi ad un

    testo che nasce in contesto comunitario?

    La lettura personale e quella comunitaria sono due poli coessenziali perché fanno parte della genesi stessa del testo sacro: nato in contesto comunitario per una comunità e – allo stesso tempo- capace di consentire un incontro edificante anche al singolo. La stessa tradizione della patristica e il Concilio Vaticano II evidenziano l’indispensabile unità di entrambi: se è vero che nella solitudine e nel silenzio posso far risuonare degli aspetti validi per la mia vita, necessito però della dimensione di discepolato di una comunità che aiuta a leggere il testo, per coglierne la pienezza di significato. Qui è importante il ruolo di chi spezza la Parola negli incontri di lectio divina, ma soprattutto del presbitero nell’omelia. Come ci ricorda l’Evangelii Gaudium è necessario che l’omelia sia un dialogo tra i cuori e che il predicatore sia un contemplativo, sia della Parola che del popolo.

    I testi biblici sono stati redatti sostanzialmente da uomini. Di conseguenza, qualcuno potrebbe sollevare un’obiezione, ravvisando forse una “stonatura davanti ad un commento femminile al testo…

    È vero che il contesto culturale

    tipico del patriarcato ebraico era quello, ma è anche vero che in tante pagine

    bibliche si avverte un’attenzione al femminile e uno spazio per la donna. Questo

    aspetto è più esplicito nel Nuovo Testamento: il discepolato di Gesù si apre

    alla sequela da parte di donne e Paolo conferma questo sviluppo nella missione

    di evangelizzazione. Poi c’è un secondo elemento. Gregorio Magno fa presente che

    la Bibbia cresce con chi la legge, quindi ogni lettore nel suo atto di lettura,

    soprattutto se è credente, dà il suo apporto al testo Sacro, in una dinamica di

    mutua crescita. Il lettore, infatti, cresce leggendo la Scrittura quando entra

    nella profondità della storia sacra, ritrovandovi al suo interno la propria

    storia personale. Al tempo stesso è la Bibbia a crescere con chi la legge,

    perché ogni lettore, in forza anche del suo cammino di fede, del suo bagaglio,

    della sua esperienza di comunione con Dio e con i fratelli e le sorelle, dà il

    suo apporto. Quindi, chiunque si accosti al testo dà il suo apporto, che sia un

    uomo o che sia una donna, e fa esperienza di mutua crescita tra il testo e il

    lettore e il testo e la lettrice.

    Quale potrebbe essere un apporto femminile nel commento al testo Sacro?

    Sicuramente quando una donna

    legge il testo biblico sarà portata a cogliere alcuni aspetti, ad esempio la

    passione di Dio per la custodia e la generazione della vita, per la

    compassione, per l’attenzione alle categorie più marginali. Fin dal disegno

    della creazione, l’alleanza di Dio con la creatura corre a due voci, passa

    dalla sinergia tra il maschile e il femminile. Questo si ritrova in un libro

    che è al cuore del Primo Testamento: il Cantico dei Cantici. In esso, Dio parla

    usando il linguaggio della relazionalità armonica tra l’uomo e la donna. Se

    guardiamo all’ordine della redenzione, incontriamo nuovamente questa sinergia

    tra maschile e femminile, sia nell’esperienza della famiglia di Nazareth, sia

    nell’annuncio del Vangelo: i discepoli sono uomini, ma accanto a loro c’è anche

    la figura di Maria di Magdala. Quindi il messaggio della rivelazione corre a

    due voci ed è bello che oggi, uomini e donne, teologi e teologhe, commentino la

    Scrittura mostrandone la ricchezza polifonica. Un’unica avvertenza però: se si insiste

    molto sul commento femminile come se fosse “migliore”, allora si scivola in un’alterazione

    del significato del testo.

    Ci sono non credenti

    che traducono e commentano testi biblici. Un autore molto noto al grande

    pubblico è Erri De Luca. Cosa significa il fatto che la comprensione di questi testi

    possa essere arricchita anche da chi non si riconosce parte di una comunità di

    fede?

    Un non credente che conosce le lingue bibliche può destreggiarsi nella messa in luce del significato anche più letterale di alcuni vocaboli ed ha l’opportunità di coglierne il valore culturale, antropologico ed esistenziale. Siamo davanti ad una lettura comunque arricchente, ma che non perviene all’incontro intimo con un Tu, questo perché il non credente si ferma sulla soglia della fede. Evidentemente è anche vero che questa Parola di Dio che si esprime in parole umane, va purificata -come abbiamo sottolineato sopra- attraverso un’interpretazione che implica il discepolato comunitario.

    Cristina Vonzun

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