«Una vita da amici, anzi fratelli», così esordisce don Sandro Vitalini pensando ai 60 anni di sacerdozio raggiunti con il suo compagno di seminario don Mario Pontarolo. Entrambi infatti quest’anno festeggiano questo importante traguardo avendo ricevuto l’ordinazione nel lontano 1959 dalle mani del vescovo mons. Angelo Jelmini. Proprio in virtù del loro profondo legame li abbiamo incontrati per una chiacchierata all’insegna di indelebili ricordi, fatiche affrontate insieme e speranze da consegnare alle future generazioni.
Vocazioni precoci
«Già da piccolo volevo fare il sacerdote – ci racconta don Sandro - come se Dio mi avesse suggerito questa strada fin dalla nascita. La mia famiglia non era praticante. Mio papà voleva che frequentassi il liceo pubblico ma la morte prematura di mio fratello Ramis lo scosse molto e grazie poi alla mediazione del parroco di Melide, don Biaggini, e del vescovo Jelmini, acconsentì alla mia entrata in seminario». Don Mario è figlio di migranti veneti arrivati in Ticino durante gli anni bui della guerra. Fame e miseria sono i primi ricordi d’infanzia. Il dialetto e la cadenza «straniera» impediva spesso la comprensione, fu così che nei primi anni di scuola non mancarono sofferenze e umiliazioni. «I miei genitori, poveri e ignoranti, mi hanno però trasmesso l’essenziale: la fede», ci racconta commosso. «Mia mamma non ha potuto studiare ma mi ha insegnato le preghiere e mi ha trasmesso con la vita, più che con le parole, la fiducia in Dio che è sempre vicino. Determinante per la mia vocazione è stata la testimonianza di don Tettamanti, parroco di Camignolo, uomo mite e buono. “Vai in seminario”, mi disse un giorno. Io non sapevo neppure cosa fosse! Mi ha acquistato tutto il necessario e così a 12 anni sono entrato in seminario a Lugano».
Il seminario e l’ordinazione
«In seminario si studiava molto e si giocava con quel poco che si aveva», prosegue don Sandro. «Mi ricordo le tante regole, che a volte non capivamo ma si obbediva sempre, e le belle passeggiate a piedi fino anche al Bigorio. L’amicizia con don Mario mi ha sempre sostenuto e la vita in seminario con lui scorreva lieta». «Una lunga preparazione, intrisa di molte fatiche – prosegue don Mario – ma il giorno gioioso dell’ordinazione è arrivato spedito. Era il frutto di un cammino sorretto da una forza interiore che non mi ha mai abbandonato nella vita». Per don Sandro il giorno della prima messa è indelebile: «Ero nella camera 28 della clinica Moncucco di Lugano al capezzale di mia madre molto malata e sofferente. Quel letto d’ospedale fu il mio primo altare».
Umili operai della Vigna
Due sacerdoti e due personalità molto differenti. Don Sandro, per oltre 30 anni, è stato professore alla facoltà di teologia di Friborgo, nel 1983 fu nominato presidente della Commissione teologica della Conferenza dei Vescovi Svizzeri, nel 2004 il vescovo Pier Giacomo Grampa lo nominò pro-vicario generale. Questi solo per citare alcuni dei numerosi incarichi a livello svizzero e diocesano ricoperti in sei decenni di sacerdozio. L’acuta intelligenza, la profonda spiritualità, la limpida eloquenza e la squisita cortesia hanno reso don Vitalini uno straordinario testimone del rinnovamento conciliare e un annunciatore appassionato della Parola di Dio. Sempre disponibile durante i weekend quando un confratello lo chiamava per qualche necessità pastorale. Molti ricordano le sue omelie brevi e semplici ma nello stesso tempo acute e mai banali e le sue numerose e qualificate pubblicazioni. D’altro canto don Mario è stato un attento e intrapprendente parroco: per nove anni a Giubiasco, in seguito a Contone e Magadino per poi approdare definitivamente nel 1981 a Comano - con annesso poco dopo anche Cureglia - per oltre 30 anni fino alla pensione. Si sa che le difficoltà aguzzano l’ingegno. Il giovane vicario di Giubiasco, vedendo gruppi di bambini che d’estate bighellonavano per ore sul sagrato della chiesa, organizzò per loro una colonia a Isone. Per coprire le spese si appassionò alla produzione di miele. La vendita del delizioso nettare delle api con il tempo crebbe fino alla costituzione di una società: «Apicoltura don Mario». Abile e affermato imprenditore quindi ma con le stesse finalità dell’inizio: arrivare là dove il bisogno chiama, nell’acresciuta consapevolezza che è meglio dare che ricevere. Con questi sentimenti in varie stagioni si è prodigato in colonie per giovani e anziani, per i disabili dell’Otaf, per i laboratori protetti di don Colombo, per la fraternità s. Filippo Neri di Sonvico e per molto altro che solo le sue mani generose conoscono. «Non sappia la destra cosa fa la sinistra», ripete spesso a chi insiste nel indagare tutto il bene che semina.
Papa Francesco
«Nella mia infanzia – ci confida don Sandro – i papi li percepivo “lontani”. Forse perché non c’era la televisione e Roma non era dietro l’angolo. Di papa Bergoglio mi colpisce la sua bontà e la grande apertura nei confronti di ogni uomo e donna. Testimonia con semplicità il Vangelo di Cristo e questo lo rende vicino e familiare». «Attraverso la natura si possono vedere le meraviglie del Signore», prosegue don Mario. «Ho la fortuna di abitare in mezzo al verde. Ogni cosa parla dell’amore di Dio per tutte le creature. È necessario però essere umili per poter aprire gli occhi e uscire dal proprio egoismo. Stiamo affrontando un cambiamento d’epoca, come afferma papa Francesco. In questo mondo complesso dobbiamo lasciarci guidare dall’immensa e gratuita serenità del creato».
Nubi e speranze
«È grave la scarsità di preti, senza di loro si adorano le bestie». Don Sandro cita il Curato d’Ars per esprimere il suo dolore nel vedere sempre meno vocazioni sacerdotali e invita, soprattutto le famiglie, a pregare e a leggere il Vangelo insieme. Ed esorta chi ha i capelli bianchi: «Parlate della vita eterna! La nostra vita non termina a 80 o 100 anni, ma è la preparazione ad una vita più piena, quella in Dio. La morte non è una disgrazia ne tanto meno una fatalità. È una nuova nascita». Don Mario è invece preoccupato quando scorge i giovani sempre più isolati con i propri cellulari. «Si parla poco insieme, così si perde la capacità di stare con gli altri per conoscersi, capirsi e comunicare i propri stati d’animo. Ci vuole vicinanza e calore umano». Agli anziani ricorda di ringraziare sempre per tutto quanto la vita ha concesso loro. «Sereni e sempre in cammino perché ogni istante va vissuto», conclude sorridendo.
Federico Anzini