“Nichilisti, sprecati, allergici a Chiesa, religione e Dio. Pur andando per la maggiore, questa tesi sui giovani non mi convinceva del tutto. Così, armato di penna e disposto all’ascolto, li ho incontrati, scrostando la patina di luoghi comuni che li ammanta”. Ad esprimersi così è Alberto Galimberti, giornalista e saggista, che ha pubblicato un volume dal titolo “È una Chiesa per i giovani? Proviamo ad ascoltarli” (edizioni Ancora) in vista del Sinodo dedicato alle nuove generazioni. Un viaggio nella realtà giovanile arricchito dai colloqui con Alessandro D’Avenia, Franco Garelli, Chiara Giaccardi e Alessandro Rosina, e reso “speciale” dalle storie che ne hanno intessuto la trama. “Ad esempio – racconta Galimberti al Sir – c’è la storia di Gabriele che, invece di raccogliere il testimone dell’impresa di famiglia, sceglie la via del sacerdozio”. “E poi Sara e Fabio, che lavorano con i rifugiati riconoscendo nell’educazione cattolica uno snodo cruciale della propria formazione, sebbene da tempo non frequentino più le liturgie, infastiditi dalle contraddizioni, sostengono, con il dettato evangelico”. Poi c’è Ivan, “bestemmiatore incallito, risucchiato da un’adolescenza furoreggiante, che si è convertito sgranando un rosario e pronunciando a fior di labbra il nome di Maria, madre”.
Una sintesi? “In un tempo segnato da legami fragili, precarietà lavorativa e avvenire nascosto, i giovani, rimescolio di slanci e inabissamenti, sono resilienti; anche quando la vita assesta loro colpi micidiali. Non disertano il destino cui sono chiamati”, afferma Galimberti. “In cammino sulle tracce della felicità, e di Dio, provano a riacciuffare speranza e futuro. Non accettano la fede a scatola chiusa, piuttosto cercano coerenza e autenticità: perciò seguono Papa Francesco. La storia di Gesù, senza orpelli, li incuriosisce ancora”.