di Markus Krienke*
Uno dei motivi per cui, sin dalla filosofia greca antica, si ironizza sulla speranza (il detto dice «è l’ultima a morire») sta nel pregiudizio che essa non cambi davvero la realtà. Anzi, e peggio ancora, essa rimanderebbe ad un futuro utopico o all’aldilà, diventando così, addirittura, il rinnegamento di questa vita, nell’hic et nunc (del «qui ed ora»). Cosa ci resta, però, rinunciando alla speranza? Nient’altro che la realtà nella sua assurdità, che si esprime per noi oggi in tutte le forme della cosiddetta «multi crisi»: dalla minaccia della guerra a quella della catastrofe climatica, dalla preoccupazione per il futuro dei nostri figli a quella per la tenuta economica, democratica e sociale della nostra Europa. Tale insieme di crisi causa quello specifico «spirito di gravità» (Nietzsche) che si è impossessato della nostra cultura e ci rende poco propensi per l’attesa di qualcosa di nuovo o insperato: la paura è diventata il fattore determinante delle nostre decisioni, da quelle personali o esistenziali (ad es. la difficoltà di prendere scelte di vita), a quelle politiche (mentre la politica trova sempre meno soluzioni creative alle crisi, le istituzioni diventano un blocco per il rinnovamento e si votano partiti populisti di destra). E l’ambito della Chiesa non è certo esente da questi fenomeni. Dunque, si può ipotizzare che nella speranza potrebbe essere insita una forza di cambiare la realtà che molti non vedono? Al punto che l’incapacità di sperare diventi un fenomeno centrale della nostra «multi crisi»?
È un tratto essenziale della cultura cristiana e della sua fede in un Dio che ha vinto la morte vedere nella speranza una forza per affrontare la realtà. Il cristianesimo rende impossibile comprenderla come una «rassegnazione alla realtà» perché nella religione cristiana il futuro è affidato alla bontà incondizionata di Dio, anche se nel presente il senso delle cose, tante volte, non è immediato. La speranza è la passione per il possibile che non riusciamo a scorgere con l’intelligenza né a predisporre con la tecnologia ed è l’affermazione di una possibilità «nonostante tutto». Essa si distingue dall’ottimismo per non fissarsi sulla convinzione che qualcosa «finirà bene», ma che ogni cosa «ha senso». Solo tale senso riesce a motivare ad agire per dare l’occasione al possibile di realizzarci: «spes «, speranza in latino, viene infatti da «pes», «piede», che racchiude quell’idea di cammino che ci trasforma in «pellegrini della speranza».
Forse oggi abbiamo perso la speranza perché non siamo più consapevoli di quella forza esistenziale che le è insita. Il Vecchio Continente è stanco e sembra aver perso quella forza culturale che l’ha sempre salvato nei suoi momenti di crisi. I cristiani sembrano aver perso la speranza di poter cambiare il futuro. Forse questo è solo un momento, ma senza il recupero della speranza non se ne esce. Pertanto Papa Francesco, indicandola come tema del Giubileo 2025, è stato lungimirante e proprio per questo la Rete «Laudato si’» della Svizzera italiana le dedicherà la Summer School del 23 agosto alla Casa «La Montanina» di Camperio, prevedendo incontri di qualità con esperti delle varie dimensioni esistenziali, psicologiche, politiche e religiose e della speranza.
Iscrizione entro il 9 agosto a: info@retelaudatosi-si.ch
*Rete «Laudato si’» della Svizzera italiana